Con la sentenza n. 32158 del 12 dicembre 2018, la Corte di Cassazione afferma che il dipendente divenuto inabile allo svolgimento delle proprie mansioni può essere validamente licenziato per motivo oggettivo, a condizione che il datore di lavoro sia in grado di dimostrare che al momento del recesso non vi fossero in azienda posizioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore. La violazione di tale obbligo di repêchage rende il licenziamento illegittimo e, in particolare, fonda il diritto del dipendente cessato alla reintegra, oltre che al risarcimento dei danni patiti. IL FATTO Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento per g.m.o. irrogatogli una volta divenuto inabile allo svolgimento delle mansioni sino ad allora ricoperte. A fondamento della suddetta domanda, il medesimo deduce che la società datrice non aveva adempiuto al proprio obbligo di adibirlo ad alternative possibili mansioni compatibili con il suo stato di salute. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che - in caso di illegittimità del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nella sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore, dovuta a violazione dell'obbligo di adibire il prestatore a mansioni compatibili con il suo stato di salute - il settimo comma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, così come modificato dalla riforma Fornero, prevede la tutela reintegratoria, ogniqualvolta il giudice accerti il difetto di giustificazione del recesso. Secondo la sentenza, quindi, si applica la disciplina di cui al comma 4 del predetto art. 18, laddove il licenziamento sia appunto ingiustificato, ricomprendendosi in tale categoria anche le ipotesi in cui il giudice accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per g.m.o. In quest’ottica, per i Giudici di legittimità, deve senz’altro essere qualificato come ingiustificato anche il licenziamento per motivo oggettivo irrogato in violazione dell'obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute. Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando il diritto del dipendente a vedersi reintegrato, stante l’illegittimità del recesso intimatogli in violazione dell’obbligo di repêchage.