Uno scostamento inferiore al 10% tra i ricavi dichiarati dal contribuente e quelli accertabili dal Fisco non costituisce una divergenza significativa tale da legittimare l’emissione dell’avviso di accertamento. È questo l’importante principio sancito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 8855 del 29 marzo 2019. IL FATTO Il Fisco aveva accertato una Srl sulla base degli studi di settore (sostituiti da quest’anno dagli Indici sintetici di affidabilità, Isa 2019), determinando un maggior imponibile di alcune centinaia di migliaia di euro, pari, però, soltanto al 4,73% dei ricavi già dichiarati: una differenza che, secondo la contribuente, era troppo bassa per poter legittimare la ripresa. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione ha stabilito che allo stato attuale gli accertamenti emessi sulla base degli studi di settore devono integrare quelle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli accertabili che l’articolo 10 della legge 146/1998 sull’utilizzo degli studi, richiamando a sua volta l’articolo 62-sexies del Dl 331/1993, richiede necessariamente ai fini della rettifica fiscale di tipo induttivo (peraltro anche la normativa fa riferimento a «rilevanti divergenze»: si veda la Corte UE, sentenza C-648/16). Quando, però, la divergenza tra ricavi dichiarati e accertabili è così ampia da poter integrare le predette gravi incongruenze legittimanti l’accertamento da studi? In passato la Suprema Corte si era limitata ad accogliere talune percentuali accettate dai giudici di merito, dal 4,23% al 21% (Cassazione 17486/2017, 20414/2014, 22946/2015), mentre la svolta della sentenza qui commentata sta proprio nell’aver stabilito, a quanto consta, per la prima volta, una soglia del 10%, al di sotto della quale non possono ritenersi sussistenti le gravi incongruenze legittimanti l’accertamento da studi. Tale soglia è stata desunta dal Regolamento per l’individuazione della contabilità inattendibile di cui all’invero poco utilizzato nella prassi Dpr 570/1996, tuttora vigente. Nel caso di specie, quindi, il Fisco aveva accertato la Srl sulla base di una divergenza con i ricavi dichiarati del solo 4,73%, di molto inferiore al 10%, sicché la rettifica era illegittima. La portata della pronuncia è ancor maggior di quel che si può desumere dal caso concreto, se si considera che gli accertamenti basati sul requisito delle gravi incongruenze sono di innumerevoli tipologie, come quelli imperniati sull’antieconomicità (Cassazione 12416/2018), sul cosiddetto bottigliometro (Cassazione 25129/2016) e più in generale sulle ricostruzioni induttive (Cassazione 14281/2016), ovvero su importi anomali e discordanti nella contabilità (Cassazione 7123/2019) e anche a prescindere dall’eventuale congruità con gli studi (Cassazione 18906/2018), nonché accertamenti di maggiori ricavi fondati su bollettini e quotazioni di mercato, notiziari Istat e stime di associazioni di categoria (Cassazione 457/2014, 16741/2017). Da ora, tutti questi accertamenti, se conducono a maggiori ricavi accertabili inferiori al 10% di quelli dichiarati, sono nulli, perché si fondano su incongruenze che non possono ritenersi gravi (sempreché, ovviamente, non sussistano ulteriori elementi convergenti).