La Corte di Cassazione, al termine dell’anno 2023, si è pronunciata affrontando un problema ricorrente riguardante la mancata registrazione della risoluzione di un contratto avente ad oggetto la locazione di un immobile. Secondo quanto precisato dalla Suprema Corte anche quando il contratto di locazione è risolto i canoni di locazione sono soggetti ad imposizione fin quando non viene registrata la risoluzione stessa. Il principio è stato sancito con l’ordinanza n. 746 del 9 gennaio 2024, ma in realtà viene confermato un orientamento già consolidato del giudice di legittimità (cfr. Cass. Civ., 30 dicembre 2021, n. 41954). Il caso in esame riguarda la locazione di immobili commerciali i cui canoni di locazione devono essere dichiarati anche se maturati e non percepiti. Secondo la Cassazione “anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto … atteso che il criterio di imputazione di tale reddito è costituito dalla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione (Cass. civ., n. 20661/2020). Secondo la Suprema Corte l’obbligo di dichiarare i canoni di locazione viene meno esclusivamente con la risoluzione del contratto, ma la Cassazione afferma un principio alquanto rigoroso per ciò che riguarda la prova della risoluzione del contratto. Secondo la Cassazione la prova può essere fornita esclusivamente con la registrazione della risoluzione del contratto. Solo a partire dalla predetta registrazione i canoni di locazione non devono più essere dichiarati. Secondo la Cassazione anche se la risoluzione è stipulata verbalmente, la stessa deve essere oggetto di registrazione entro i 30 giorni successivi. Conseguentemente, se si omette la registrazione dell’accordo risolutivo “consegue il persistere dell’obbligazione tributaria” e i canoni di locazione, indipendentemente dal sopravvenuto accordo con il conduttore, devono essere regolarmente dichiarati. Ciò in quanto la mancata registrazione della risoluzione “rende tale atto, con specifico riferimento alla data della risoluzione del contratto, inopponibile all’Amministrazione finanziaria”. Secondo quanto precisato dalla sentenza in commento, la mancata registrazione impedirebbe di fornire data certa alla risoluzione del contratto. Si consideri ad esempio il caso in cui le due parti si siano accordate per la risoluzione del contratto con decorrenza dal 1° febbraio 2024. Se la risoluzione viene registrata tardivamente, ad esempio in data 31 maggio dello stesso anno, l’atto non sarebbe idoneo ad attribuire data certa all’avvenuta risoluzione in data 1° febbraio 2024. Conseguentemente l’Agenzia delle Entrate chiederà al proprietario di dichiarare comunque i canoni di locazione relativi al periodo 1° febbraio - 31 maggio 2024 anche se le parti si erano accordate in precedenza sulla risoluzione contrattuale. La Suprema Corte, al fine di argomentare la soluzione rigorosa richiama il disposto dell’art. 2704 del c.c. La disposizione citata prevede che “La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’anno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisce in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”. L’Amministrazione finanziaria è considerato un soggetto terzo. Pertanto, fin quando la risoluzione del contratto non viene registrata questa non può essere opposta nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Il proprietario risulta così obbligato a dichiarare i canoni di locazione anche se non percepiti trattandosi di immobili commerciali per i quali non trovano applicazione le eccezioni di cui all’art. 26 del TUIR.