La mancata risposta da parte dell’ente creditore all’istanza di sospensione delle riscossione, per la quale è previsto il termine massimo di 220 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del contribuente, fa venir meno la pretesa tributaria e, conseguentemente l’oggetto del contendere. E questo vale, prima delle modifiche del Dlgs 159/2015, per tutte le ipotesi, compresa qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito, in relazione alle quali la normativa prevedeva la possibilità di presentare l’istanza. A stabilire questo principio è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28354 del 5 novembre 2019. IL FATTO La vicenda riguarda l’impugnazione di una cartella di pagamento concernente la liquidazione dell’imposta dichiarata e non versata. A seguito della conferma dell’illegittimità del provvedimento, l’ufficio impositore incardinava il giudizio di legittimità nelle more del quale il contribuente eccepiva la cessata materia del contendere per effetto della mancata comunicazione da parte dell’agenzia all’istanza di sospensione della riscossione. La legge 228/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento tributario l’istituto della sospensione legale della riscossione con il quale il contribuente, mediante una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, può, perentoriamente entro 60 giorni dalla notifica del primo atto esattivo, dimostrare l’esistenza dei presupposti che rendono provvisoriamente o definitivamente illegittima la riscossione. Depositata l’istanza, il concessionario per la riscossione informa l’ente creditore il quale se non dà comunicazione al debitore e all’agente della riscossione delle risultanze dell’istruttoria, trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della domanda da parte del contribuente, i debiti oggetto dell’istanza di sospensione sono annullati di diritto e il debitore è considerato automaticamente discaricato dei relativi ruoli. Va peraltro osservato che l’intervento legislativo attuato con il Dlgs 159/2015 non prevede più, dalla data di entrata in vigore del decreto, l’annullamento del debito in caso di inerzia dell’ente, protrattasi per almeno 220 giorni, qualora l’istanza sia stata presentata per cause diverse da quelle tipizzate o in caso di sospensione giudiziale o amministrativa ed, infine, su istanza fondata su sentenza non definitiva. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE I giudici di legittimità ripercorrendo il quadro normativo hanno rilevato, dichiarando la cessata materia del contendere, che nel caso di specie operasse l’annullamento di diritto del credito poiché si è verificata un’ipotesi – sentenza non definitiva di annullamento - che all’epoca dei fatti veniva contemplata tra quelle costituenti i presupposti per l’inesigibilità del credito. Sul punto, la Cassazione ha chiarito che la caducazione della pretesa, che ora si verifica soltanto se il debitore fa valere cause potenzialmente estintive della stessa, non può valere per tutte quelle situazioni per le quali, in vigenza delle vecchie disposizioni, l’agenzia non ha provveduto a dare la comunicazione entro 220 giorni. Peraltro, se così è, la pretesa tributaria viene meno comunque laddove, nell’ipotesi tassative ora previste, decorre inutilmente il termine entro cui l’amministrazione deve dare riscontro all’istanza di sospensione presentata dal contribuente.