La disciplina del raddoppio dei termini dell’attività accertativa, anche se abrogata e non più in vigore dal 1° gennaio 2016, è foriera di pronunce di particolare interesse come nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 26199 dell’8 settembre 2023. I giudici di legittimità hanno escluso l’operatività del raddoppio dei termini ex art. 43 del DPR 600/1973 nell’ipotesi di omesso versamento delle ritenute d’imposta e di infedele dichiarazione del sostituto d’imposta dal momento che queste violazioni nell’anno 2003 non erano previste come reato: tale ragione ha giustificato l’inapplicabilità del regime in argomento con conseguente decadenza dell’attività accertativa. A tale risultato la Cassazione è giunta mediante la valorizzazione dell’intreccio di varie norme in rapporto con i periodi di vigenza e/o di nuove previsioni normative successive all’anno di imposta considerato. Da quanto si apprende nella sentenza, il contribuente aveva omesso l’effettuazione e la dichiarazione nel modello 770 delle ritenute alla fonte, ragione che aveva indotto l’Amministrazione finanziaria ad assolvere l’obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p. per il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 del DLgs. 74/2000 e giustificare il raddoppio dei termini accertativi. Il contribuente rilevava che le violazioni commesse nella presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta, in base alla normativa vigente all’epoca dei fatti, non potevano mai integrare una fattispecie di reato ai sensi del DLgs. n. 74/2000, e quindi non avrebbe potuto applicarsi il raddoppio dei termini. La tesi è stata accolta dalla Cassazione, che ha argomentato sostenendo che sia la previsione di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, sia la dichiarazione infedele, rispettivamente ex artt. 3 e 4 del DLgs. 74/2000, potevano (e possono ancora oggi) rilevare solo ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, ma non per le ritenute fiscali. Ciò è sostenuto anche dal fatto che l’art. 1 lett. c) del DLgs. 74/2000, solo nella versione successiva al DLgs. 158/2015, ovvero dal 22 ottobre 2015, ha specificato che per dichiarazioni si dovesse avere riguardo anche a quelle del sostituto d’imposta. Si ricorda che il reato di omesso versamento di ritenute (dovute) certificate ex art. 10-bis del DLgs. 74/2000 è stato introdotto con la L. n. 311/2004, quindi l’anno successivo a quello oggetto di giudizio. La Corte specifica che, “al momento dell’accertamento, l’omesso versamento delle ritenute d’imposta e l’infedele dichiarazione del sostituto d’imposta non erano previsti come reato, trattandosi di fattispecie abrogate ex art. 25 DLgs. n. 74/2000, e conseguentemente non sussisteva l’obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p. da parte dell’Agenzia delle Entrate”. L’accertamento è stato quindi annullato. Si osserva che nel sistema vigente l’omesso versamento di ritenute certificate è previsto come reato dall’art. 10-bis del DLgs. 74/2000. Ove però manchi il versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma non vi è la prova del rilascio delle relative certificazioni, sussiste un illecito amministrativo tributario (per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale del 14 luglio 2022 n. 175 che ha dichiarato incostituzionale l’inciso “dovute sulla base della stessa dichiarazione o”). L’omessa dichiarazione del sostituto d’imposta, invece, è punita anche penalmente dall’art. 5 comma 1-bis del DLgs. 74/2000. Tuttavia il caso di dichiarazione infedele del sostituto, ovvero il caso in cui il sostituto non operi tutte le ritenute e per l’effetto non le dichiari nel modello 770, rendendosi comunque inadempiente rispetto al debito tributario effettivo, non è previsto come reato.