Con la denuncia n. 14 del 12 dicembre 2019 la Commissione per l’esame della compatibilità di leggi e prassi tributarie italiane con il diritto dell’Unione Europea dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC), sezione di Milano, ha segnalato alla Commissione UE l’illegittimità comunitaria della disciplina italiana sugli obblighi di dichiarazione annuale per gli investimenti e le attività detenute all’estero (monitoraggio fiscale) ed in particolare di taluni profili relativi alle modalità di compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi e dell’applicazione dell’Imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero (IVAFE). In particolare, l’associazione ritiene violati i principi di libertà dei movimenti di capitale, di libertà di circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento, nonché il principio di proporzionalità. Libertà fondamentali del mercato unico I principi citati, insieme al principio di libertà di circolazione delle merci, costituiscono le quattro libertà fondamentali del mercato unico dell'UE. Il principio di libertà dei movimenti di capitale vieta tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. Quello di libera circolazione dei lavoratori, inoltre, include i diritti di circolazione e di soggiorno dei lavoratori, i diritti di ingresso e di soggiorno dei loro familiari e il diritto di svolgere un’attività lavorativa in un altro Stato membro, nonché di essere trattati secondo criteri di parità rispetto ai cittadini di detto Stato. Il diritto di stabilimento, infine, comprende il diritto di svolgere attività indipendenti e di creare e gestire imprese al fine di esercitare un’attività permanente su base stabile e continuativa, alle stesse condizioni che la legislazione dello Stato membro di stabilimento definisce per i cittadini nazionali. Denuncia AIDC L’Associazione individua molteplici motivazioni per le quali le disposizioni menzionate violino i principi sopra citati e sulle quali non ci soffermeremo. Ricordiamo però che sono considerate restrizioni dei movimenti di capitali tutte quelle misure idonee a dissuadere i residenti di uno Stato membro dal compiere investimenti in altri Stati; fra queste si possono includere gli obblighi di monitoraggio fiscale delle attività estere, che impongono costi di compliance elevati e che pertanto possono dissuadere gli investimenti in altri Paesi. L’AIDC ritiene che gli ostacoli alle libertà fondamentali sopra richiamate non siano giustificati da obiettivi di interesse generale e che violino il principio della proporzionalità in quanto la norma sul monitoraggio impone adempimenti e prevede sanzioni che eccedono quanto indispensabile per garantire la tutela degli interessi erariali. Sul punto, risulta da consolidata giurisprudenza della Corte che i provvedimenti nazionali in grado di ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato possono nondimeno essere giustificati qualora perseguano un obiettivo di interesse generale, siano adeguati a garantire la realizzazione dello stesso e non eccedano quanto è necessario per raggiungerlo. In proposito, la Corte ha stabilito che costituiscono ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare una restrizione dell’esercizio delle libertà di circolazione garantite dal Trattato la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali nonché la lotta all’evasione fiscale. Per quanto concerne i movimenti di capitali, inoltre, le disposizioni del Trattato non pregiudicano il diritto degli Stati membri di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale. Tuttavia, affinché una misura restrittiva sia giustificata, essa deve rispettare il principio di proporzionalità, nel senso che dev’essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo che essa persegue e che non deve andare oltre quanto è necessario per conseguirlo. Sul punto da diverse sentenze emerge che gli ostacoli motivati dall’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli tributari non sono giustificati quando esistono con l’altro Stato efficaci sistemi di scambio d’informazione. L’AIDC, con estese argomentazioni, ritiene quindi che gli obblighi di monitoraggio fiscale delle attività detenute all’estero confliggano con il principio di libertà dei movimenti di capitale e con quello di libertà di circolazione dei lavoratori, nella misura in cui impongono di indicare nella dichiarazione dei redditi informazioni già note all’Amministrazione finanziaria italiana grazie alle norme che prevedono lo scambio d’informazioni automatico. Ritiene, inoltre, che la complessità degli adempimenti richiesti dalla norma e la sproporzione delle sanzioni applicabili aggravino ulteriormente la situazione del contribuente. Sostiene, infine, che le norme sull’IVAFE violino i princìpi di libertà dei movimenti di capitale e di libertà di stabilimento in quanto la disciplina riguardante il presupposto oggettivo e la base imponibile di questa si differenzierebbe notevolmente da quella prevista per l’imposta di bollo applicabile alle attività detenute in Italia. Procedura di infrazione Dopo aver esaminato i fatti esposti nella denuncia, la Commissione Europea deciderà se avviare un procedimento formale di infrazione al fine di garantire che le norme sul tema siano pienamente in linea con il diritto dell'UE e correttamente applicate. Se a seguito di una richiesta formale l’Italia continuasse a non conformarsi alle indicazioni della Commissione, questa potrebbe decidere di deferire il Paese alla Corte di giustizia e, nel caso in cui vincesse la causa, questo dovrebbe adottare tutte le misure necessarie per porre rimedio alle violazioni.