Con la sentenza n. 20024/2023 la Corte di Cassazione rimarca ancora – auspicabilmente una volta per tutte – il diritto del contribuente al ristoro dei costi delle garanzie fideiussorie prestate nell’ambito della procedura di rimborso IVA, confermando altresì che la relativa istanza non è soggetta al termine decadenziale biennale di cui all’art. 21 comma 2 DLgs. 546/92, in quanto avente a oggetto un diritto e non un tributo. IL FATTO La fattispecie esaminata, purtroppo “classica” e seriale, riguarda una società svizzera identificata in Italia a mezzo rappresentante fiscale, che aveva impugnato il silenzio-rifiuto dell’ufficio avverso l’istanza di restituzione dei costi della garanzia prestata in relazione al rimborso del credito IVA maturato sul 2007, ai sensi dell’art. 38-bis del DPR 633/72, nella versione illo tempore vigente, antecedente alle modifiche ex art. 13 del DLgs. 175/2014 e 7-quater comma 32 del DL 193/2016, che appunto disciplinava un generalizzato obbligo di prestazione della garanzia. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Le pronunce sfavorevoli di merito – implicitamente quanto ingiustificatamente disallineate rispetto ai chiarissimi principi della Cassazione n. 16409/2015, che già aveva tracciato la linea su questa materia – sono state rovesciate dalla Suprema Corte, la quale ha accolto i motivi di ricorso sia sotto il profilo della violazione del diritto Ue, sia sotto quelli dell’errata applicazione delle norme domestiche. L’art. 8 comma 4 della L. 212/2000 impone all’Erario di rimborsare al contribuente il costo delle fideiussioni che siano state prestate per ottenere, tra l’altro, il rimborso di tributi: secondo la ricordata pronuncia n. 16409/2015, tale norma attribuisce un diritto soggettivo perfetto, dovendosi intendere l’espressione “ha dovuto richiedere” come comprensiva dei costi di tutte le garanzie in rapporto allo scopo perseguito, ovverosia, in specie, il rimborso del tributo. Peraltro, tale principio non trova limitazioni né per quanto concerne lo status dell’istante, che ben può essere una società italiana (Cass. n. 22720/2020), né nella fisionomia della controversia tributaria (Cass. n. 31092/2021), posto che lo Statuto del contribuente tutela l’integrità patrimoniale. La Cassazione si sofferma poi sul fatto che in materia IVA il diritto Ue conferisce al contribuente il diritto di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito, ciò significando che il rimborso deve essere effettuato entro un termine ragionevole e che, in ogni caso, il sistema prescelto non deve comportare per questi alcun rischio finanziario: non potendo disporre temporaneamente dei fondi corrispondenti al credito di cui è titolare, il richiedente si trova in una situazione di svantaggio che deve essere compensata al fine di garantire il rispetto del principio di neutralità fiscale (causa C-107/10). In tema, va rilevato che la Corte ha anche corretto le discutibili affermazioni dei giudici di merito, in base alle quali la procedura d’infrazione 4080/2013 non avrebbe esaminato il ristoro degli oneri fideiussori, bensì solo le tempistiche di erogazione del credito: posto che la previgente normativa, censurata dalla Commissione Ue, non si limitava a contemplare il termine finale per l’erogazione del rimborso il relazione alle categorie di contribuenti, subordinandolo infatti anche a requisiti eccessivamente stringenti – ossia alla prestazione di garanzia – è evidente che i profili di criticità vagliati non abbiano riguardato esclusivamente gli aspetti temporali, tant’è vero che il legislatore ha dichiaratamente rimediato all’infrazione con il nuovo regime di ristoro forfetario dello 0,15% dell’importo di credito garantito, per ogni anno di durata della garanzia, ex art. 7 della L. 167/2017. La sentenza, inoltre, va salutata con favore anche per il limpido principio in tema di inapplicabilità della decadenza biennale ex art. 21 comma 2 del DLgs. 546/92, questione affrontata nella Cassazione n. 5508/2020, tuttavia con motivazione articolata sulle particolarità della polizza fideiussoria. In particolare, richiamando detta norma l’art. 19 del DLgs. 546/92 – che tratta della restituzione di tributi, sanzioni e relativi accessori – non la si può estendere ai costi da fideiussione, avendo quest’ultima funzione indennitaria e non satisfattoria, nel senso che non sostituisce il versamento dell’imposta, ma rimette le parti nello status quo ante al rimborso (Cass. SS.UU. n. 18520/2019): la fideiussione trasferisce da un soggetto a un altro il rischio economico derivante dalla mancata esecuzione di una prestazione ed è pertanto qualitativamente diversa rispetto all’obbligazione tributaria. Per tale ragione, alla domanda di restituzione degli oneri fideiussori non può che applicarsi la prescrizione ordinaria decennale, il cui termine dovrebbe ragionevolmente decorrere dalla data di effettivo sostenimento del costo. Considerate le numerose, univoche pronunce di Cassazione sulla materia degli oneri fideiussori, sarebbe davvero il caso che l’Agenzia delle Entrate prendesse posizione ufficiale, abbandonando i contenziosi pendenti.