Il termine ultimo per presentare l’istanza per richiedere il contributo perequativo è scaduto lo scorso 28 dicembre. La maggior parte dei potenziali beneficiari, comunque, ha provveduto a tale adempimento ben prima di tale data nella speranza di anticipare il più possibile l’erogazione del contributo. Speranza questa che in molti casi è stata soddisfatta, visto che buona parte delle erogazioni si è avuta intorno al 23 dicembre. Non tutti, però, hanno avuto questa fortuna. Infatti, nonostante l’art. 1 del D.L. 73/2021, comma 17, stabilisca che non hanno diritto al contributo perequativo i soggetti: “ … la cui partita IVA risulti non attiva alla data di entrata in vigore del presente decreto legge”, e quindi al 26 maggio 2021, l’Agenzia delle entrate ha escluso dall’erogazione anche coloro la cui partita IVA è cessata successivamente a tale data. Esclusioni senza spiegazione Nessuna spiegazione viene fornita per tali esclusioni posto che l’unico documento che attesta tale circostanza è la ricevuta di scarto rilasciata dall’Agenzia in seguito alla presentazione dell’istanza e in cui si legge che la richiesta è stata negata perché: “ La partita IVA del dichiarante non risulta essere attiva”. Occorre, quindi, interrogarsi sul perché di tali esclusioni tentando di capire, innanzitutto, quali possano essere le motivazioni per cui il D.L. 73/2021 preveda la non spettanza del contributo perequativo alle partite IVA chiuse alla data della sua entrata in vigore. Il confronto con previsioni analoghe Per cominciare, è utile fare un confronto con analoghe previsioni contenute nei precedenti provvedimenti che hanno disposto l’erogazione di altri contributi a fondo perduto ai soggetti penalizzati dalle norme anti-Covid. Tutte queste norme, infatti, hanno previsto l’esclusione dai predetti contributi dei soggetti che avevano chiuso la partita IVA entro una certa data. Quest’ultima, però, è stata agganciata in alcuni casi, alla data di entrata in vigore della norma dispositiva, in altri ad una data specifica (es. art. 1, 1-bis e 1-ter, D.L. 137/2020) e, in altri ancora, collegata a quella di presentazione dell’istanza (art. 25, c. 2, D.L. 34/2020). Se si considera che quest’ultima norma è stata la prima, in ordine di tempo, ad introdurre uno di questi contributi a fondo perduto e che il collegamento della data di cessazione della partita IVA a quella prevista per la presentazione della relativa istanza nasceva dalla necessità di prevedere un certo lasso di tempo per consentire all’Agenzia delle entrate di approntare le procedure e i software necessari per presentare la relativa istanza, non si comprende come tale norma non sia stata ripetuta anche in tutti i provvedimenti successivi. Escludere da questi contributi i soggetti cessati ad una certa data sembrerebbe indicare la volontà di agevolare solo quelli ancora operativi, dando quindi al contributo più la natura di sostegno che di ristoro. Ma il contributo perequativo, la cui spettanza non è collegata al calo del fatturato, vuole essere una sorta di indennizzo per coloro che, pur non avendo subito un significativo calo delle vendite, hanno comunque avuto un peggioramento del risultato economico del 2020 rispetto a quello del 2019. Se dunque l’indennizzo è finalizzato a ristorare parte del peggioramento del REE conseguito nel 2020 rispetto a quello del 2019, si dovrebbe concludere che esso debba spettare anche a chi, proprio, in virtù di tale peggioramento, è stato costretto a cessare la propria attività. Ma, tale conclusione è smentita proprio dalla previsione di cui al citato comma 17, cioè dalla esclusione delle partite IVA cessate alla data del 26 maggio 2021. Esclusione che trova un’unica eccezione, menzionata nelle istruzioni per la compilazione dell’istanza, nel riconoscimento del contributo perequativo anche ai soggetti che proseguono l’attività in precedenza svolta da altro soggetto, quali gli eredi dell’imprenditore defunto o i soggetti risultanti da operazioni di trasformazione. Le possibili ragioni alla base dell’esclusione Ma, forse, il vero motivo di tali esclusioni risiede nel fatto che se si fosse consentita l’erogazione del contributo anche ai soggetti cessati, ci si sarebbe trovati di fronte a un problema di difficile soluzione: non tutti i soggetti cessati possono mantenere attivo il conto corrente collegato all’attività svolta. Le istruzioni per la compilazione dell’istanza, e la guida operativa diramata dall’Agenzia delle entrate, richiamano più volte l’attenzione sul fatto che l’IBAN del conto corrente su cui si chiede l’erogazione del contributo deve risultare intestato al soggetto richiedente. Orbene, nel caso dei soggetti che svolgono la propria attività in modo individuale la chiusura della partita IVA difficilmente si accompagna a quella del conto corrente collegato all’attività svolta. Al contrario, nel caso delle società di capitali e di persone, la chiusura della partita IVA coincide con quella dell’estinzione del soggetto e quindi, di riflesso, con la chiusura dei conti correnti intestati all’attività. Ne deriva che l’erogazione di un contributo a favore dei soggetti con attività cessata, non sarebbe stata possibile nel caso dei contribuenti che avevano operato in forma di società di persone o di capitali e ciò avrebbe comportato un’ingiustificata disparità di trattamento legata unicamente alla modalità di svolgimento, individuale o collettiva, dell’attività esercitata. Contrasto con il dettato normativo Rimane, comunque il fatto che il comma 17 dell’art. 1 del D.L. 73/2021 non prevede espressamente l’esclusione dal contributo perequativo dei soggetti che hanno chiuso la partita IVA tra il 26 maggio 2021, data di entrata in vigore del decreto, e il 29 novembre 2021, termine iniziale per la presentazione dell’istanza. Né le successive norme attuative, decreto del MEF del 12 novembre 2021 e provvedimenti direttoriali del 2 luglio e 13 ottobre 2021, hanno stabilito nulla in proposito. Ne deriva, che il rifiuto di erogare il contributo a tali soggetti sarebbe in pieno contrasto con il dettato normativo. I rimedi Cosa fare, dunque, se il contributo perequativo viene negato per aver chiuso la partita IVA dopo il 26 maggio 2021? Secondo l’articolo 19, comma 1, lettera h), del D.Lgs. 546/92, tra gli atti impugnabili rientrano: “il diniego o la revoca di agevolazioni”; ma il rifiuto di erogare il contributo perequativo può essere considerato diniego di un’agevolazione? Secondo la Circolare n. 98/E del 23 aprile 1996 no perché per diniego o revoca di agevolazioni si intende: “… l’esplicita indicazione di alcuni atti conclusivi di un procedimento, o sub-procedimento, che un consolidato indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto autonomamente impugnabili per il fatto di avere come causa l’affermazione di un’obbligazione tributaria e di incidere concretamente nella sfera giuridica del soggetto passivo del tributo”. Il tipico esempio di atto di diniego o revoca di agevolazione viene ravvisato nei provvedimenti con cui l’Agenzia delle entrate procede al recupero di crediti di imposta ritenuti non spettanti. In buona sostanza, perché un atto sia impugnabile ai sensi della suddetta lettera h) deve trattarsi di un’agevolazione tributaria cioè dell’esenzione o riduzione di un determinato tributo a favore di una certa categoria di contribuenti. Pertanto, la ricevuta da scarto che nega l’erogazione di un contributo a fondo perduto non è impugnabile perché non si riferisce ad un’agevolazione di tipo tributario. Al contrario, sarebbe, semmai impugnabile l’eventuale disconoscimento della non tassabilità del contributo perequativo riconosciuta dal comma 22 dell’art. 1, del D.L. n. 73/2021. Conclusioni Alla luce di tali considerazioni, il diniego del contributo perequativo nei confronti dei soggetti che hanno chiuso la partita IVA dopo il 26 maggio 2021 potrebbe essere oggetto soltanto di un’istanza di correzione in autotutela che evidenzi il fatto che la norma non prevede l’esclusione dal beneficio per le partite IVA cessate dopo il 26 maggio 2021 e che quando la legge ha voluto differire tale esclusione alla data di presentazione dell’istanza, come nel caso dell’art. 25, D.L. 34/2020, lo ha fatto espressamente, circostanza questa che non lascia spazio ad interpretazioni estensive dell’Agenzia delle entrate.