Niente registro per il finanziamento soci enunciato nell’atto di aumento di capitale

La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 1960 del 18 gennaio 2024 è tornata sulla questione dell’enunciazione dei finanziamenti soci rappresentata in una delibera sociale, chiarendo la loro irrilevanza ai fini dell’imposta di registro in quanto mancante di uno dei presupposti di cui all’art. 22 TUR e precisamente la perpetuazione degli effetti dell’atto enunciato. Più precisamente, la Corte ha affermato che, in tema di imposta di registro, la delibera assembleare di aumento del capitale sociale, realizzato mediante l'imputazione di un finanziamento del socio, concluso in forma orale con la società, non è assoggettabile all'imposta, anche laddove sia ravvisabile l'enunciazione del precedente finanziamento non registrato, poiché l'imputazione determina la cessazione degli effetti propri del finanziamento integrando la causa di non imponibilità di cui all’art. 22, comma 2, del DPR n. 131/1986. A tale proposito ed in piena condivisione con tale statuizione va sottolineato come il citato art. 22, TUR prescriva testualmente che "quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell'atto che contiene l'enunciazione”, non insorge il relativo presupposto impositivo. Qualora, quindi, la convenzione enunciata (il finanziamento) venga a cessare i suoi effetti a seguito della definitiva imputazione a capitale della somma già versata dal socio alla società, che muta, quindi, la causa dell’originaria datio determinando l'estinzione (per rinuncia, ma prima ancora per compensazione come rappresentato da Cass., Sez. 1, 19 marzo 2009, n. 67011) dell'obbligo restitutorio della società nei confronti del socio, se non anteriormente, quantomeno contestualmente o in esecuzione dell'atto enunciante, non si strutturano integralmente i presupposti dell’art. 22 per la tassazione dell’atto enunciato. In proposito occorre evidenziare che l’originaria consegna della somma di danaro non integra un effetto dell'originario contratto concluso tra la società ed il socio, ma piuttosto un elemento che attiene alla sua conclusione: difatti, il finanziamento va ricondotto al mutuo, che è, ai sensi dell’art. 1813 cod. civ., un contratto reale e si perfeziona proprio tramite la consegna della somma di danaro. Gli effetti del contratto, che s’identificano fondamentalmente nell'obbligo di restituire la somma di danaro e, qualora il finanziamento sia a titolo oneroso, in quello di corrispondere gli interessi, vengono a cessare con l'imputazione della somma a capitale, divenendo il danaro un conferimento societario. La cessazione degli effetti del finanziamento è riconducibile all'atto enunciante, proprio come richiede l'art. 22 TUR, visto che la rinuncia del socio alla restituzione della somma ed all'eventuale corrispettivo pattuito deriva dal mutamento di causa dell’originaria datio e, cioè, dalla nuova operazione societaria di aumento del capitale sociale. Proprio in ordine a tale aspetto la Corte di Cassazione, già nel passato, con riferimento all'ammissibilità della compensazione tra i crediti vantati dai soci per finanziamenti ed i debiti di conferimento che il socio ha verso la società conferitaria, ha avuto modo di rappresentare come il finanziamento si estingua nel medesimo momento in cui i crediti che ne derivano formano oggetto di compensazione con il deliberato aumento di capitale sociale (in tal senso già Cass., 24 aprile 1998, n. 4236 e Cass., 19 marzo 2009, n. 6711). Cessando il finanziamento cessa i propri effetti in ragione del predetto utilizzo (l’aumento del capitale sociale), viene ad integrarsi la causa di non imponibilità individuata dal comma 2 del ciato art. 22 del DPR 131/1986. Il giudice di Cassazione, nell'ordinanza in commento, ha anche, in conclusione, ritenuto necessario evidenziare come la pronuncia non si ponga in contrasto con la sentenza delle Sezioni Unite (Cass. Sez. Unite 24 maggio 2023 n. 14432) in cui, a differenza che nel caso in esame, il credito restitutorio derivante dal precedente finanziamento, enunciato nel verbale e oggetto di tassazione, non si era integralmente estinto all'esito del conferimento, per cui testualmente per le Sezioni Unite "non possono considerarsi cessati gli effetti degli atti enunciati, posto che il finanziamento del socio all’esito dell'assemblea societaria risulta tuttora valido ed efficace de residuo”. A tale proposito si ritiene di dover sottolineare che se è vero (nel caso trattato dalle Sezioni Unite) che il contratto di finanziamento enunciato conservava un‘efficacia de residuo (permanendo un obbligo restitutorio parziale del finanziamento al socio), sarebbe apparso più logico limitare l’imposta di registro sull’atto enunciato al solo valore residuo, in quanto più coerente con la ratio della stessa disposizione. Infine in ordine alla responsabilità notarile nei casi di enunciazione, la pronuncia in esame ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite 24 maggio 2023, n. 14432 per la quale, qualora in un atto notarile vengano enunciate disposizioni di altri atti, scritti o verbali, posti in essere dalle stesse parti, ma non già registrati, l'imposta di registro dovuta per questi deve qualificarsi come imposta principale e, in rettifica dell'autoliquidazione, l'amministrazione può legittimamente richiederla al notaio emettendo un avviso di liquidazione. In tal caso, ai sensi dell’art. 57, comma 1 TUR, il notaio che ha rogato o autenticato l'atto enunciante è responsabile per il pagamento dell'imposta in solido con le parti dell'atto stesso.

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Niente registro per il finanziamento soci enunciato nell’atto di aumento di capitale

L’enunciazione del finanziamento soci, concluso verbalmente, nell’atto di aumento del capitale sociale non sconta l’imposta di registro, in quanto l’imputazione determina la cessazione degli effetti propri del finanziamento

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