L'applicazione della misura del sequestro preventivo risponde all’esigenza di garantire le pretese erariali, in riferimento all’ingiusto profitto conseguito in seguito alla commissione del reato. Detta misura naturalmente verrà rimossa nei casi di mutamento o mancanza delle esigenze cautelari, fra le quali rientra anche l’adozione del provvedimento di sgravio da parte dell’Amministrazione finanziaria, che estingue il debito e dunque la pretesa fiscale. Tuttavia, precisa la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 28575 depositata il 2 luglio 2019, lo stesso effetto non può essere ottenuto con la sola sentenza non definitiva di annullamento del provvedimento impositivo dei giudici delle Commissioni tributarie, attesa l’autonomia dei procedimenti. IL FATTO Nel corso di indagini per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di cui all’art. 3 del DLgs 74/2000 in merito ad asserite evasioni per importi considerevoli la competente Procura della Repubblica chiedeva ed otteneva dal Gip a carico dell’indagato l’applicazione della misura del sequestro preventivo del presunto profitto, a garanzia del Fisco. Nel frattempo sotto il profilo amministrativo, la difesa del contribuente si opponeva alla pretesa fiscale, impugnando innanzi alla Commissioni tributarie l’atto impositivo ottenendo l’accoglimento delle doglianze. A fronte di tale decisione non seguiva il provvedimento di sgravio fiscale emesso dall’Agenzia delle Entrate. Alla luce dell’esito positivo del giudizio tributario, sebbene non definitivo, l’indagato proponeva istanza di al Tribunale del Riesame, per ottenere la rimozione della misura cautelare in conseguenza della pronuncia tributaria. IL tribunale tuttavia confermava l’applicazione del sequestro, limitandosi a rideterminare la cifra del profitto ritenuto evaso. Avverso detta sentenza il contribuente ricorreva in Cassazione per l’annullamento della misura cautelare. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto in parte il ricorso presentato dall’indagato. I giudici di legittimità hanno, innanzitutto, precisato che il profitto confiscabile per equivalente a seguito della commissione di un delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, deve essere individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia per l’Amministrazione finanziaria, nella fase di recupero di dette somme evase. Tuttavia, prosegue la Corte richiamando un consolidato orientamento formatosi in materia (Cass. 39187/2015), è del tutto illegittima sia la disposizione, sia il mantenimento del sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte delle Commissioni tributarie e di successivo provvedimento di sgravio effettuato da parte dell’Amministrazione finanziaria. La ragione, chiariscono i giudici della Corte, sta nel fatto che lo sgravio, quale manifestazione diretta dell’Ente impositore ed alla pari atto pubblico fidefacente, ha come effetto l’estinzione del debito erariale. Nel caso di specie, la pretesa fiscale era annullata solo dai giudici tributari, la cui decisione in ottemperanza del principio che denota l’autonomia dei procedimenti tributari e penali, può consentire solamente la rideterminazione ma non l’annullamento della misura.