Occultamento scritture contabili: irrilevante l’atteggiamento collaborativo del legale rappresentante

Secondo la Corte di Cassazione, sentenza n. 37348 depositata il 9 settembre 2019, il reato di occultamento delle scritture contabili viene integrato anche se sia stato egualmente possibile ricostruire le operazioni compiute dal contribuente. Il legislatore infatti, ha inteso sanzionare anche il solo comportamento che abbia reso, anche soltanto più difficoltosa – e non impossibile - l’attività di verifica fiscale a causa dell’avvenuta distruzione o occultamento della contabilità. IL FATTO La rappresentante legale di una srl veniva imputata per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili. In entrambi i gradi di giudizio di merito, sia il Tribunale, sia la Corte di Appello, ritenevano sussistenti tutti gli elementi per la configurazione della fattispecie criminosa contestata. La contribuente, in sintesi, in entrambi i gradi, contestava l’addebito e, segnatamente, da un lato la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, determinata dall’atteggiamento collaborativo tenuto durante la verifica, dall’altro, l’omesso accertamento dell’esistenza delle scritture contabili. Evidenziava, poi, che il volume d’affari fosse stato regolarmente ricostruito dagli accertatori e, conseguentemente, non potesse configurarsi il reato. In sostanza secondo la difesa, la Corte avrebbe erroneamente equiparato la mancata esibizione della documentazione, all’occultamento della stessa, ritenendo che la mancata esibizione fosse la prova della volontà di occultare la documentazione. Tali ultime argomentazioni costituivano anche i principali motivi del successivo ricorso in Cassazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. Ritenendo corretto l’operato della Corte d’Appello, i giudici di legittimità, hanno innanzitutto chiarito che alla ricorrente non fosse stata contestata la mera condotta di mancata esibizione, ma fosse stata accertato, l’occultamento di tale documentazione. Le scritture infatti non erano custodite presso la sede sociale, peraltro fittizia, non erano conservate presso lo studio del commercialista, né - dato più rilevante ai fini della decisione - l’imputata aveva indicato un luogo dove tale documentazione fosse stata eventualmente recuperabile. Tutto ciò, ad avviso della Suprema Corte, evidenziava la volontà di non esibirla e di sottrarla attraverso il trasferimento in luogo ignoto. Come già avvenuto in passato, la Suprema Corte ha quindi ribadito che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 10, D.Lgs. n. 74/2000, l’eventuale ricostruzione della situazione reddituale, effettuata dagli accertatori, è fattore comunque irrilevante ai fini della realizzazione del reato che viene comunque a concretizzarsi.

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