Con riguardo alla violazione delle norme tributarie inerenti alla presentazione delle dichiarazioni fiscali sussiste l’obbligo giuridico dell’amministratore di diritto di adempiere agli obblighi fiscali, ma resta necessario l’accertamento dell’elemento soggettivo doloso perché si configuri la responsabilità penale. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17393 depositata il 27 aprile 2023, delinea le modalità di accertamento del dolo di evasione, con particolare riguardo al superamento della soglia di punibilità e al caso in cui sia stato incaricato un professionista per la presentazione della dichiarazione. Secondo l’insegnamento costante della giurisprudenza penale in relazione al delitto di omessa dichiarazione (art. 5 del DLgs. 74/2000), il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente (cfr. Cass. n. 7000/2018). Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato è dunque necessaria la rappresentazione e volizione dell’omessa dichiarazione e del superamento della soglia di punibilità, nonché il dolo specifico di evasione in quanto il contribuente deve perseguire il “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”. Il fine di evasione non ricomprende anche la consapevolezza del superamento della soglia di punibilità; tale ultimo elemento, infatti, al pari degli altri elementi costitutivi del reato, deve essere oggetto di semplice previsione e volizione da parte dell’agente e, quindi, rientra nel dolo generico che deve sorreggere la condotta tipica, sia nella forma del dolo diretto che in quella del dolo eventuale. Il dolo è invece specifico quando la norma incriminatrice richiede, oltre alla coscienza e volontà del fatto materiale, che il soggetto agisca prendendo di mira un fine particolare e ulteriore, che è previsto come elemento soggettivo costitutivo della fattispecie legale, ma che si pone oltre il fatto materiale tipico, onde il conseguimento di tale fine non è necessario per la consumazione del reato. In tal senso – come detto – la soglia di punibilità deve essere oggetto di rappresentazione e volizione, anche eventuale, del fatto materiale da parte del soggetto agente, il quale deve avere la consapevolezza che le somme evase superino quel limiti stabilito dal legislatore. E in effetti con riferimento al caso di specie l’esistenza dell’elemento soggettivo è stata ravvisata nel forte scostamento dalla soglia di punibilità (IRES pari a 173.304 euro nel singolo anno d’imposta, IVA pari a 127.435 euro). Anche nei casi in cui ci si avvalga di un terzo per la presentazione delle dichiarazioni, la sussistenza del dolo non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull’operato del professionista, che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento anti-doveroso da doloso in colposo, bensì dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (così Cass. n. 37856/2015). La sentenza in commento ricorda, inoltre, che il dolo del contribuente può desumersi anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione (Cass. n. 16469/2020). Tale condotta successiva può provare, infatti, la volontà del ricorrente di non presentare la dichiarazione, in quanto preordinata al mancato versamento successivo delle imposte, laddove la dichiarazione tributaria rappresenta infatti un momento essenziale del procedimento di accertamento del tributo, anzi l’obbligo di presentazione della dichiarazione rappresenta il momento di partecipazione del contribuente alla fase di accertamento. In tal modo, il mancato assolvimento dell’obbligo dichiarativo, non manifestando al Fisco la capacità contributiva e non indicando l’ammontare delle imposte dovute in relazione all’anno di imposta, integra quell’offesa al bene giuridico oggetto di tutela penale, che rende punibile il comportamento omissivo del contribuente, consistente nel mancato pagamento delle imposte dovute ma non dichiarate, il quale può rivestire valenza penale anche ad altri fini, ma non priva certo di rilevanza penale il mancato assolvimento dell’obbligo dichiarativo.