Nel caso di una vera e propria società “cartiera”, la circostanza che l’amministratore abbia presentato la dichiarazione annuale relativa a una delle due imposte (dei redditi o sul valore aggiunto) deve essere supportata da argomentazioni più pregnanti che non si risolvano nel solo fatto di aver presentato tale dichiarazione, non essendo facilmente conciliabile un atteggiamento “colposo” con una impresa votata all’evasione di imposta e con la soppressione (o l’occultamento) della relativa contabilità. Così la sentenza n. 36573, depositata il 4 settembre 2023 dalla Corte di Cassazione, conferma la condanna per omessa dichiarazione nei confronti del legale rappresentante di una srl, condannato altresì per l’emissione di plurime fatture false. I giudici di legittimità ricordano che il delitto previsto dall’art. 5 del DLgs. 74/2000 è reato omissivo proprio, istantaneo e unisussistente che si consuma il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione. Si tratta di delitto che può essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale (DPR 322/98), è obbligato alla presentazione della dichiarazione stessa; salvo le ipotesi residuali in cui l’autore materiale dell’omissione può essere anche il soggetto incaricato della trasmissione (art. 3 comma 3 del decreto appena citato) o anche l’incaricato del materiale recapito o della spedizione del documento. Per quanto la norma attribuisca a chiunque la possibilità di commettere il reato, la sussistenza dell’obbligo della dichiarazione e il fine di evasione restringono, dunque, la platea dei possibili destinatari del precetto a una cerchia ristretta e ben definita di soggetti. Viene anche precisato che le condotte precedenti alla scadenza del termine sono estranee alla fattispecie tipica e non hanno rilevanza alcuna, nemmeno ai fini del tentativo punibile (che autorevole dottrina pur ritiene possibile nel remoto caso in cui l’obbligato si ponga in anticipo nella materiale condizione di impossibilità di non adempiere, per esempio affrontando un lungo viaggio). Ne consegue che la volontà dell’omissione deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine; mentre le condotte antecedenti e successive possono rilevare esclusivamente a fini di prova del dolo, non come frazioni dell’unica condotta omissiva. Il punto cruciale della pronuncia in esame riguarda il tema dell’elemento soggettivo. La Cassazione precisa che è il fine di evasione che qualifica la condotta sul piano penale; ove venga accertata un’imposta effettivamente dovuta superiore a quella dichiarata (o non dichiarata affatto) e/o componenti positive di reddito inferiori a quelle effettive o elementi passivi fittizi, l’indagine non avrebbe verificato altro che alcuni degli elementi costitutivi del reato, quelli che qualificano, sul piano oggettivo, l’offesa degli interessi erariali e giustificano (ma non esauriscono) la rilevanza penale della condotta. Ma tale indagine non assorbe quella relativa all’accertamento del dolo specifico di evasione che nei reati dichiarativi concorre a tipizzare la condotta. Altrimenti si corre il rischio di identificare il dolo specifico di evasione con la pura e semplice consapevolezza dell’obbligo dichiarativo violato e dell’entità dell’imposta non dichiarata. Un’operazione dogmaticamente errata che finirebbe per annullare la distinzione tra gli illeciti penali e gli illeciti amministrativi (artt. 1 comma 2 e 5 comma 4 del DLgs. 471/97). In definitiva, il dolo di evasione è volontà di evasione dell’imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penale-tributario, e il “dolo di omissione” non solo non può essere ritenuto sufficiente a integrare, sul piano soggettivo, il reato di cui all’art. 5 del DLgs. 74/2000. La volontà omissiva prova la consapevolezza della sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, ma non prova il fine ulteriore della condotta. Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura più grave tra l’atteggiamento antidoveroso dell’autore del fatto illecito, l’ordinamento giudico e il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilità della libertà personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena. È proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo. In definitiva tale dolo deve sussistere al momento della scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione. Nel caso di specie, però, il dato della presentazione postuma deve essere letto insieme con le altre evidenze di fatto che rendono tutt’altro che illogica la conclusione che l’omessa presentazione della dichiarazione IVA fosse animata proprio dalla volontà di evadere la relativa imposta.