Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, per il reato di reato di omesso versamento IVA, è un istituto afflittivo, che risponde all’esigenza di sanzionare il reo per aver commesso il reato. Per tale ragione, può gravare su tutti i beni dell’interessato, indipendentemente dal fatto che questi rappresentino l’effettivo profitto del reato, oppure siano stati acquisiti diverso tempo prima. Pertanto, chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40071 del 1° ottobre 2019, il principio di irretroattività interviene solo in relazione all’entrata in vigore dell’istituto e la commissione del reato e non in rapporto con la data di acquisizione del bene sequestrato. IL FATTO Un contribuente era indagato per aver commesso il reato di omesso versamento IVA, in violazione dell’art. 10 ter del D.Lgs n. 74/2000. Nelle more delle indagini il Gip disponeva la misura cautelare del sequestro preventivo, funzionale alla confisca diretta del profitto del reato e in caso di impossibilità a procedere, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, fino a concorrenza del valore del profitto, su tutti i beni mobili ed immobili dell’indagato. Immediatamente, la difesa avanzava istanza di riesame, ai fini della rimozione della misura, in quanto applicata in modo non corretto, ma le doglianze venivano rigettate. Il diniego veniva impugnato in Cassazione. Nel ricorso si dava atto che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente era stato eseguito sui beni immobili acquistati diversi anni prima della commissione del reato, dunque in assenza di qualsiasi nesso pertinenziale richiesto a norma dell’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000. In sostanza la confisca non poteva essere retroattiva, ma contestuale al profitto del reato. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dal contribuente. I giudici di legittimità, uniformandosi all’orientamento espresso dalle SS.UU sul punto (cfr. Cass. 38691/2009), chiariscono che non esiste nessun limite temporale alla confisca per equivalente, nella misura in cui è possibile applicarla anche sui beni immobili acquistati prima della commissione del reato, da cui deriva il profitto. La ragione risiede nella ratio della misura cautelare. Questa, infatti, risponde all’esigenza di superare gli ostacoli e le difficoltà legate all’individuazione dei beni in cui si incorpora il profitto iniziale, nonché ad ovviare i limiti che incontra nel caso di beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego. Pertanto, il sequestro preventivo funzionale, a differenza della confisca ordinaria di cui all’art. 240 c.p., può avere ad oggetto beni che oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato, per privarlo di qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa. Detta conclusione è avallata anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che più volte ha rimarcato la distinzione fra la confisca per equivalente e quella diretta, sulla base della funzione rivestita: la seconda di natura preventiva, in quanto fa fronte alla pericolosità indotta nel reo, dalla disponibilità dei beni costituenti il prezzo, il prodotto ed il profitto; la prima invece ha una funzione afflittiva, che consente di gravare su beni di altra natura, fra i quali rientrano quelli che non hanno alcun nesso pertinenziale con il reato.