In caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, «la contestazione e la notifica dell'avvenuto accertamento della violazione, prescindono dall'iscrizione a ruolo dei relativi crediti, perché tale iscrizione attiene al successivo procedimento di riscossione e non può assumere, perciò, rilevanza a fini penali». Lo ha stabilito la III Sezione penale della Corte di Cassazione, sentenza n. 41056 del 7 ottobre 2019, affermando un principio di diritto. IL FATTO Secondo il ricorrente, un legale rappresentante di una società cooperativa, condannato a tre mesi e 200 euro di multa per non aver versato le ritenute sulla retribuzioni dei dipendenti dal febbraio al dicembre 2012 (per un totale di 23mila euro), «l'iscrizione a ruolo è il presupposto per l'invio della diffida». Per cui, l'iscrizione tardiva avrebbe avuto come effetto il mancato superamento della soglia di punibilità annuale. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Una lettura bocciata dalla Suprema corte secondo cui, innanzi tutto, siamo davanti ad una prospettazione «puramente ipotetica». «Poiché infatti l'Inps – ricostruisce la sentenza - non aveva comunicato il momento in cui era stata effettuata l'iscrizione, non vi era prova del rispetto del relativo termine decadenziale; con l'ulteriore conseguenza che la diffida non sarebbe stata possibile». Ma questo, argomenta la decisione, certifica unicamente che è il ricorrente stesso a non sapere quando l'iscrizione a ruolo sia avvenuta, «attribuendo all'amministrazione previdenziale un onere non previsto dalla legge penale, ovvero quello di comunicare all'interessato, non solo l'avviso di accertamento ma anche l'iscrizione a ruolo del credito, che sarebbe prodromica rispetto a tale avviso». «Gli artt. 24 e 25 del Dlgs n. 46 del 1999, che stabiliscono l'iscrizione a ruolo dei crediti degli enti pubblici previdenziali e i relativi termini di decadenza - prosegue infatti la Corte -, disciplinano la fase della riscossione mediante ruolo, che è successiva rispetto a quella dell'accertamento e della richiesta di versamento a norma dell'art. 2, comma 1-bis, del Dl n. 463 del 1983, il quale esclude la punibilità nel caso di versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione». Rispetto poi all'altro motivo di ricorso, in cui si lamenta la notifica degli avvisi di accertamento presso il domicilio e non presso la sede della persona giuridica, la Corte ricorda, che per la giurisprudenza di legittimità, «non sono necessarie particolari formalità per la notifica dell'accertamento». «Con la conseguenza che - conclude la decisione - la comunicazione della contestazione al contravventore è validamente perfezionata anche in caso di notificazione dell'atto effettuata mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, perfezionatasi per compiuta giacenza, dando luogo ad una presunzione legale di conoscenza che può essere vinta ove il contravventore provi di non avere avuto, senza colpa, notizia dell'atto, mediante la dimostrazione di un fatto o di una situazione, non superabile con l'ordinaria diligenza, che spezzi o interrompa in modo duraturo il collegamento fra il destinatario ed il luogo di destinazione della comunicazione». Ma, nel caso specifico, il ricorrente «non solo non ha dimostrato, ma non ha neanche prospettato la mancanza di conoscenza dell'avvenuta notificazione, regolare sul piano formale».