Solo il materiale esborso del datore di lavoro dei contributi rapportati alla remunerazione corrisposta al prestatore mette al riparo l’imprenditore da possibili ripercussioni penali. Questo in estrema sintesi il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2565 del 21 gennaio 2019. IL FATTO I Supremi giudici si sono trovati alle prese con un soggetto che - limitatamente agli omessi versamenti relativi alle annualità 2010 e 2011 - era stato condannato a 3 anni di reclusione e a 420mila euro di multa. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Il datore ha provato a difendersi, ma la Cassazione ha rilevato come le buste paga ancorchè sottoscritte dal lavoratore con la formula “per ricevuta” costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell'effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore. La Cassazione, poi, si è soffermata sul concetto di destinazione delle somme trattenute ai fini diversi dell'adempimento dell'obbligo contributivo e che sul piano giuridico quest'ultimo è stata già risolto con il principio di diritto secondo cui “il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti è integrato, siccome a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, cosicchè non rileva il profilo dell'elemento soggettivo, la circostanza che il datore attraverso una fase di criticità e destini le risorse finanziarie per fare fronte a debiti ritenuti più urgenti”. Sulla questione la Corte, però, ha ribadito che il mancato adempimento contributivo sia dipeso da crisi così grave (da intendersi quale causa di forza maggiore) cui il datore non avrebbe potuto porvi rimedio in nessun modo. Ma non era questo il caso.