Il reato di omesso versamento delle ritenute ha subito numerose modifiche normative, sulle quali è quantomai necessaria una chiarezza interpretativa sulla norma effettivamente applicabile a seconda dell’epoca dei fatti in cui l’omissione si perfeziona. La sentenza n. 30758, depositata il 14 luglio 2023 dalla Corte di Cassazione, si confronta proprio su questo tema, trattando di un’omissione avvenuta nel settembre 2015. Il ricorrente contestava il fatto che il giudice di merito avesse pronunciato una condanna senza la prova in ordine alla consegna ai sostituti di imposta della certificazione relativa alle trattenute fiscali operate dal datore di lavori sui loro compensi. Prendendo come riferimento il testo dell’art. 10-bis del DLgs. 74/2000 vigente al momento dei fatti contestati, l’orientamento interpretativo prevalente era nel senso che, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, può essere fornita dal pubblico ministero anche mediante prove documentali, testimoniali o indiziarie, le quali potevano essere costituite anche dalla mera acquisizione e allegazione giudiziaria del modello 770 provenienti dallo stesso datore di lavoro (così, infatti, fra le altre, Cass. nn. 19454/2014, 20778/2014 e 33187/2013). Un tale orientamento è stato posto in discussione dalla stessa giurisprudenza, che ha evidenziato che il delitto in questione presenta una componente omissiva, rappresentata dal mancato versamento nel termine delle ritenute effettuate, e una precedente componente commissiva, consistente, a sua volta, in due distinte condotte, costituite dal versamento della retribuzione con l’effettuazione delle ritenute e dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni prima dello spirare del termine previsto per la presentazione della dichiarazione quale sostituto d’imposta. Alla luce di questa complessa struttura oggettiva, la dimostrazione delle sua sussistenza non poteva essere offerta dalla semplice produzione giudiziale del modello 770 presentato da parte del datore di lavoro, posto che essa non sarebbe stata sufficiente a dimostrare l’avvenuto rilascio della certificazione delle ritenute operate, come sostituto di imposta, sulle somme corrisposte ai dipendenti, in quanto il modello, non contenendo alcuna dichiarazione in tal senso, costituisce al riguardo un semplice indizio privo dei caratteri di gravità e precisione (Cass. n. 40526/2014 e Cass. n. 10475/2015). Questo ordine di idee è stato, poi, confortato dalla circostanza che lo stesso legislatore è intervenuto inserendo, nel testo della disposizione incriminatrice, fra le parole “ritenute” e “risultanti”, le espressioni “’dovute sulla base della stessa dichiarazione o” (art. 7 comma 1 lett. b) del DLgs. 158/2015). Una tale modifica normativa è stata ritenuta – dalla pronuncia in esame – sintomatica del fatto che in tema di omesso versamento di ritenute certificate deve ritenersi che per i fatti pregressi la prova dell’elemento costitutivo del reato non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione, essendo necessario dimostrare l’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta (così Cass. n. 10104/2016, poi confermata delle Sezioni Unite n. 24782/2018). Si noti che la vicenda è resa ancor più complessa dal fatto che, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 175/2022, è stato ripristinato il regime vigente prima del DLgs. 158/2015, sicché da una parte l’integrazione dell’art. 10-bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate; dall’altra il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario. Il ricorso viene comunque ritenuto infondato in quanto, secondo la Cassazione, nel caso in esame, la Corte di merito aveva adeguatamente motivato sia con riferimento alla dimostrazione della prova dell’avvenuto rilascio delle certificazioni, sia con riferimento all’avvenuto superamento della soglia di punibilità.