L’accesso alla pensione usufruendo di quota 100, misura sperimentale per il triennio 2019-2021, consente l’uscita anticipata al raggiungimento di almeno 62 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva con una finestra mobile tra la maturazione dei requisiti e l’accesso a pensione di 3 mesi per i dipendenti privati e 6 mesi per i dipendenti del pubblico impiego. L’assegno pensionistico per coloro che accederanno a Quota 100 non verrà calcolato in modo differente rispetto a quanto avviene per i trattamenti pensionistici di vecchiaia o di pensione anticipata. Verrà, dunque, calcolato con il sistema misto, vale a dire, per coloro che hanno almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, con il metodo di calcolo retributivo per i contributi versati fino al 31 dicembre 2011 e con il sistema contributivo per quelli successivi. Per chi, invece, è in possesso di meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, si applicherà il sistema retributivo per i contributi versati entro quella data e il sistema contributivo per quelli successivi. Analisi di convenienza Il punto di domanda di fronte al quale si trovano circa 300mila lavoratori che nel 2019 avranno i requisiti richiesti per poter essere “quotisti” è relativo alla convenienza o meno di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro di qualche anno, magari già a 62 anni, o se, al contrario, è consigliabile aspettare l’età della pensione di vecchiaia, pari nel 2019 a 67 anni. Partendo dal presupposto che ogni lavoratore ha una storia professionale e una situazione previdenziale unica e che, pertanto, non si potrà fare una previsione univoca che varrà sicuramente per tutta la platea interessata, l’uscita con quota 100 può far sì che l’importo dell’assegno pensionistico, rispetto a quello della pensione di vecchiaia o di pensione anticipata “ordinarie”, possa risultare inferiore fino al 25%, anche a causa dell’applicazione del metodo di calcolo contributivo applicato, come visto precedentemente, a partire dal 2012 a tutta la generalità dei lavoratori. Il fatto che l’accesso a trattamento pensionistico venga anticipato fino a 5 anni, quindi, comporterà che la quota contributiva risulti minore rispetto agli accessi ordinari. Quanto si potrebbe perdere Come anticipato precedentemente, un quotista avrà l’assegno liquidato con sistema di calcolo misto, retributivo fino al 31.12.1995 e contributivo a partire dal 1996. La rendita di questa seconda quota è determinata dal montante contributivo, risultato di tutti gli importi versati, moltiplicato per il coefficiente di trasformazione, legato all’età di accesso a pensione, tanto più alto quanto più tardi si esce dal mondo del lavoro. La quota contributiva dei quotisti sarà quindi, per forza di cose, più bassa rispetto a quella di coloro che attenderanno di aver maturato i requisiti per gli accessi ordinari. Un esempio Ipotizzando un lavoratore che decida di uscire dal mondo del lavoro a 62 anni, questi vedrà la propria rendita pensionistica data dal prodotto del montante contributivo accantonato nel corso della vita lavorativa e dal coefficiente di trasformazione che, per i 62 anni, è pari al 4,790%. Se il montante contributivo del nostro lavoratore fosse stato pari a 250.000 euro, l’assegno pensionistico annuale sarebbe stato pari a circa 11.975 euro lordi. Mantenendo lo stesso montante contributivo, per ipotesi, ma portando l’età di accesso alla pensione a 67 anni, solo per il fatto di avere un coefficiente di trasformazione pari a 5,604%, l’assegno sarebbe passato a un importo pari a circa 14.010 euro lordi. Questo senza tener conto che il quotista nei 5 anni di prosecuzione della vita lavorativa potrebbe vedere il proprio montante contributivo ulteriormente incrementato, portando, quindi, ad un importo dell’assegno ancora superiore. Nel caso in cui il lavoratore avesse una retribuzione costante pari a 35.000 euro negli ultimi 5 anni prima dell’accesso a pensione ordinaria, data l’aliquota contributiva del 33%, il montante contributivo potrebbe raggiungere circa 308.000 euro. Applicando il coefficiente di trasformazione 5,600%, il trattamento pensionistico annuo sarebbe pari a circa 17.246 euro lordi. Allo stesso tempo, le due quote del metodo retributivo, A e B, liquidano la pensione in base alla media delle retribuzioni lorde rivalutate, rispettivamente, degli ultimi 5 e 10 anni trasformandole con un’aliquota di rendimento che decresce all’aumentare della media. In conclusione Coloro che temono di avere negli ultimi anni di vita lavorativa delle retribuzioni decrescenti che vadano a influire negativamente sulla media retributiva e, quindi, sulla quota di pensione calcolata con il sistema retributivo, potranno tenere in considerazione quota 100 come una via d’uscita anticipata per evitare questa diminuzione dell’assegno pensionistico.