Il disegno di legge delega per la riforma fiscale, attualmente all’esame del Parlamento, all’art. 15, rubricato “Procedimento accertativo”, tra gli altri principi e criteri direttivi per la revisione dell’attività di accertamento che i decreti delegati dovranno attuare, dispone (comma 1, lettera g, n. 1) che in relazione ai componenti reddituali a efficacia pluriennale e alle perdite di esercizio, i termini di decadenza dal potere di accertamento decorrano dal periodo d’imposta nel quale si è verificato il fatto generatore (vale a dire il periodo d’imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio). La sentenza a Sezioni Unite n. 8500 del 2021 La questione è nota. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 8500/2021, intervenute, pur in assenza di un vero e proprio contrasto giurisprudenziale, a seguito dell’ordinanza di rimessione n. 10701/2020, hanno affermato che nelle ipotesi in commento la decadenza dell’Amministrazione finanziaria va verificata in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato e non già in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio (come, invece, sostenuto nelle precedenti pronunce della medesima Suprema Corte, n. 9993/2018 e n. 2899/2019). In sostanza, non farebbe differenza che la contestazione dell’Amministrazione finanziaria riguardi l’inesatta quantificazione della quota annuale del componente pluriennale (ad esempio a causa dell’applicazione di coefficienti d’ammortamento ritenuti dall’Agenzia superiori a quelli ammessi dal D.M. 31 dicembre 1988) ovvero l’indeducibilità/non spettanza tout court del beneficio fiscale riconnesso a tale componente per assenza dei relativi presupposti, dovendosi sempre valutare la decadenza con riferimento all’annualità nel quale il singolo rateo di suddivisione del componente è indicato. Ebbene, la portata e le conseguenze di un tale principio di diritto sono risultate, sin da subito, sotto gli occhi di tutti. Le fattispecie interessate sono moltissime: dagli ammortamenti alle sopravvenienze attive rateizzabili alle detrazioni fiscali che devono essere ripartite su più anni (ad esempio le spese di ristrutturazione edilizia) fino alle perdite di esercizio che rappresentano, probabilmente, la “distorsione” più evidente se è vero che in presenza di perdite riportabili in avanti senza alcun limite temporale, il detto termine di decadenza finisce per assumere anch’esso una durata illimitata, costringendo l’impresa a conservare, tendenzialmente “all’infinito”, la documentazione contabile e l’evidenza delle motivazioni delle variazioni (in aumento e in diminuzione) effettuate in sede di determinazione dell’originaria perdita. La soluzione indicata dalla legge delega Ben venga allora il criterio indicato dalla delega fiscale! Aderendo agli allarmi espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito, dunque, e proprio utilizzando una formulazione speculare rispetto a quella usata dalla Suprema Corte, i decreti delegati dovranno prevedere che i termini di decadenza dal potere di accertamento decorrano dal periodo d’imposta nel quale si è verificato il fatto generatore; ciò, con l’obiettivo mirato di evitare un eccessivo aggravio degli oneri amministrativi per il contribuente in termini di eccessiva dilatazione dei tempi di controllo e dell’obbligo di conservazione delle scritture contabili, in nome della certezza del diritto, della stabilità del rapporto tributario e del legittimo affidamento dei contribuenti. Come verrà attuato un simile principio (previsto a 24 mesi dall’approvazione della legge delega), ad oggi, ovviamente non è noto. Appare plausibile, tuttavia, ritenere che la modifica interesserà direttamente il corpo dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 nel quale si potrà prevedere che l’accertamento sostanziale dei componenti reddituali aventi efficacia pluriennale (esistenza, inerenza, etc.) e delle perdite debba essere effettuato unicamente con riguardo alla dichiarazione dei redditi in cui detti elementi emergono per la prima volta, indicando il dies a quo (ovvero gli esatti termini di decorrenza) e probabilmente anche il dies ad quem dell’accertamento nel caso non si ritenesse di mantenere le tempistiche attualmente previste e (anche abbastanza di recente) riscritte. Coerentemente, tale modifica normativa esplicherebbe i propri effetti anche sugli obblighi di conservazione documentale ex art. 22 del D.P.R. n. 600/1973, se è vero che quest’ultima disposizione è di fatto strumentale rispetto all’art. 43 cit. e impone l’obbligo di conservazione dei documenti tributari fino all’intervenuta definizione del rapporto tributario relativo all’annualità di riferimento. Resta da stabilire, infine, e qui la delega tace, se le nuove disposizioni, contenute nei decreti delegati, andranno a intaccare le pendenze in corso.