Uno dei pilastri fondanti del decreto fiscale 2020 (D.L. n. 124 del 2019) è rappresentato dal Piano cashless, vale a dire quell’insieme di misure caratterizzate dalla comune finalità di ridurre l’utilizzo del denaro contante nelle transazioni economiche, nell’intento di contrastare l’evasione fiscale e altre condotte fraudolente che presuppongono proprio l’utilizzo del denaro contante. A questa finalità rispondono, infatti, in modo diretto o indiretto, le previsioni dettate - seppur non tutte con decorrenza immediata - negli articoli da 18 a 23 del decreto fiscale, che incentivano l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, sanzionando, all’opposto, comportamenti di segno contrario, quali, ad esempio, il rifiuto di ricevere pagamenti tramite POS. Limite all’uso del contante In particolare, l’art. 18 del decreto fiscale prevede, a decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, una riduzione graduale del limite di utilizzabilità del contante, dagli attuali 3.000 a 2.000 euro. Detto limite sarà, ulteriormente, ridotto a 1.000 euro a far data dal 1° gennaio 2022. Tale disposizione non rappresenta certo una novità, posto che negli ultimi anni il limite in parola è stato più volte ridotto e ri-aumentato. Ciò che mi sembra di poter affermare è che, tuttavia, non esiste una diretta correlazione fra i limiti di utilizzo del cash e la riduzione dell’evasione stessa. Anche la Commissione Europea, in uno studio del 12 giugno 2018 ha evidenziato che l’impatto sull’evasione dei limiti all’utilizzo del contante risulta assai ridotto, come dimostra il confronto tra Stati membri privi di siffatte limitazioni e Stati che, come l’Italia, presentano, invece, una disciplina specifica sull’uso del contante. Tali disposizioni, peraltro, alla prova dei fatti, rischiano di vivere solo sulla carta e non incidere significativamente sui comportamenti collettivi. Il limite del contante non risulta sufficientemente dissuasivo per chi evade, tantomeno stimola l’acquirente a richiedere la fattura, dal momento che i benefici dell’evasione, distribuiti tra venditore e acquirente, tendono a rimanere superiori al valore atteso delle sanzioni per pagamenti sopra-soglia (assai difficili da verificare). Peraltro, non è da sottovalutare la circostanza che le nuove misure limitative del contante non sono del tutto coerenti con l’attuale impianto sistemico (le segnalazioni “scattano” solo sopra la soglia mensile di 10.000 euro). Lotteria degli scontrini Gli articoli 19 e 20 introducono, dal 1° gennaio 2020, una ulteriore disposizione pensata per “disincentivare” l’utilizzo del contante, la cd. lotteria degli scontrini. Essa consiste in un modello incentivante basato sull’estrazione a sorte di premi speciali da attribuire ai privati che effettuano acquisti presso esercenti tenuti alla trasmissione telematica dei corrispettivi, operando i relativi pagamenti mediante strumenti elettronici. Si tratta di un sistema già sperimentato da anni in altri Paesi UE, come è il caso, ad esempio, del Portogallo. Rispetto alla prima versione della lotteria degli scontrini della legge di Bilancio 2017, mai attuata, il decreto fiscale introduce alcune novità di rilievo, vale a dire: i) il mancato assoggettamento a imposizione dell’importo dei premi vinti; ii) un meccanismo sanzionatorio (da 100 a 500 euro, senza applicazione del cumulo giuridico), riservato agli esercenti che si rifiutino di ricevere il codice fiscale del contribuente o non trasmettano all’Agenzia delle Entrate i dati della singola cessione o prestazione. L’idea certamente valorizza il “contrasto di interessi”, ma la sua reale efficacia, come strumento “di massa”, è necessariamente legata all’entità dei premi e alla percezione della probabilità di vittoria. Da questo punto di vista, lo stanziamento annuale di soli 45 milioni di euro, previsto dal decreto fiscale per tutti i premi speciali della lotteria degli scontrini, non depone a favore di una valutazione di sicura efficacia concreta. A fronte di ciò, il rischio è quello di complicare la vita agli esercenti, imponendogli nuovi costi, ad esempio per l’assolvimento di ulteriori adempimenti (si pensi alla trasmissione all’Agenzia dei dati individuali delle singole transazioni dei clienti), per l’acquisto di strumenti di lettura automatizzata del codice fiscale e, talora, persino per l’assunzione di nuovo personale (si pensi al barista che, contemporaneamente, fa cassa e deve registrare il codice fiscale di tutti gli avventori). Bonus del 30% delle commissioni L’art. 22 del decreto fiscale riconosce un credito d’imposta (pari al 30% delle commissioni complessivamente addebitate per le transazioni effettuate mediante carte di debito, di credito o carte prepagate), a favore degli esercenti attività d’impresa e dei professionisti. Il beneficio riguarda esclusivamente i contribuenti di minori dimensioni, con ricavi/compensi fino a 400.000 euro annui e spetta unicamente per le operazioni effettuate nei confronti dei consumatori finali, poste in essere dal 1° luglio 2020. Sanzioni <Infine, l’art. 23 del decreto prevede, a carico di imprese e professionisti che non accettino un pagamento con moneta elettronica (carta di credito, carta di debito o carte prepagate), una sanzione fissa di 30 euro, cui si aggiunge una sanzione variabile del 4% sul valore della transazione per la quale sia stato rifiutato il pagamento con carta di credito/debito. Le sanzioni scatteranno dal 1° luglio 2020. Se è evidente che l’effettuazione di pagamenti tramite POS presuppone l’obbligo, per il cedente del bene o prestatore del servizio, di accettare il pagamento con moneta elettronica e che tale obbligo è realmente tale solo se accompagnato da un adeguato meccanismo sanzionatorio, non può non evidenziarsi come la misura delle penalità appare difficilmente in grado di esercitare una reale deterrenza. Semmai, la previsione di una sanzione fissa di 30 euro, più una variabile del 4% per cento, comporta un effetto deterrente più alto per le transazioni di più modesto valore. Peraltro, appare farraginoso il meccanismo di controllo, che prevede la denuncia del rifiuto del pagamento tramite POS al Prefetto e il coinvolgimento di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria per accertamenti e controlli. In conclusione L’analisi delle disposizioni del Piano cashless contenute nel decreto fiscale induce a considerazioni critiche. La formulazione delle norme appare spesso il frutto di un compromesso, anche dovuto a ragioni di gettito, sicché la loro efficacia appare condizionata, vuoi dal farraginoso meccanismo applicativo, vuoi da una scarsa portata incentivante delle condotte individuali: è il caso, ad esempio, della lotteria degli scontrini e della riduzione del limite del contante. D’altra parte, avrebbe avuto più senso introdurre, in luogo di nuovi oneri e sanzioni, meccanismi incentivanti all’utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili (si pensi al cashback). Peraltro, così, si sarebbero potuti generare, probabilmente, anche, degli effetti positivi sulla propensione al consumo dei contribuenti.