L’imposta comunale sulla pubblicità (ICP), disciplinata dal D.Lgs. n. 507/1993, è stata oggetto di un nuovo “ampliamento” legislativo ad opera della legge di Bilancio 2019. Così dispone la modifica: “a decorrere dal 1° gennaio 2019, le tariffe e i diritti di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, possono essere aumentati dagli enti locali fino al 50 per cento per le superfici superiori al metro quadrato e le frazioni di esso si arrotondano a mezzo metro quadrato”. La novità si inserisce in un contesto già oggetto di profondi interventi legislativi e giurisprudenziali. Tale facoltà di maggiorazione era venuta meno a partire dal 2013 per effetto dell’art. 23, comma 7, D.L. n. 83/2012 e dell’interpretazione costituzionalmente orientata della successiva norma di deroga (art. 1, comma 739, legge n. 208/2015) recata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 15 del 2018. Sul punto si rammenta che il comma 739 della legge di Stabilità 2016 stabilisce che “l’articolo 23, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 [...] nella parte in cui abroga l’articolo 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, relativo alla facoltà dei comuni di aumentare le tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212, si interpreta nel senso che l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore del predetto articolo 23, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012”. Ed invero, tale disposizione sembrava operare una distinzione tra quei Comuni che già precedentemente si erano avvalsi della facoltà di aumento delle tariffe, rispetto a quei Comuni che, invece, non avevano previsto e deliberato tale aumento. Conseguentemente, tale profilo di contraddittorietà creava problemi interpretativi sulla legittimità delle delibere con le quali i comuni confermavano tacitamente o espressamente gli aumenti delle tariffe dell’imposta adottati prima dell’abrogazione dell’art. 11, comma 10, legge n. 449/1997. L’intervento della Consulta La sentenza della Corte Costituzionale n. 15 del 2018, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 739, legge n. 208/2015, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale, ritenendo inapplicabili gli aumenti delle tariffe ICP effettuati dopo il 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore dell’art. 23, comma 7, D.L. n. 83/2012). Secondo la Consulta, dunque, l’efficacia delle delibere di aumento delle tariffe ICP è assicurata per il solo 2012 mentre le delibere confermative, espresse o tacite, degli aumenti effettuati dopo tale data sono da ritenersi inefficaci. Con la sentenza, la Corte Costituzionale ha altresì proceduto ad un inquadramento normativo dell’imposta sulla pubblicità e pubbliche affissioni nella sua evoluzione cronologica. Anche al fine di comprendere meglio la portata applicativa ed il contesto in cui si inserisce la novità introdotta dalla legge di Bilancio 2019, vale la pena ripercorrere l’excursus legislativo operato dalla Corte Costituzionale. Il tributo in questione è disciplinato dal D.Lgs. n. 507/1993 che introduce la “tariffa base” a carico delle imprese pubblicitarie, articolandole in base alla fascia demografica di appartenenza dei comuni. La tariffa base può essere maggiorata dal Comune ove ciò sia stato previsto dal regolamento comunale (entro il 31 marzo dell’anno di riferimento dell’imposta). Tuttavia, l’art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 507/1993 introduce il c.d. principio di ultrattività, secondo cui, in caso di mancata delibera per gli anni successivi a quello di adozione del regolamento, sono prorogate le tariffe dell’anno precedente. Un’ulteriore ipotesi di maggiorazione è stata, altresì, introdotta dall’art. 11, comma 10, legge n. 449/1997 che ha previsto per i Comuni la facoltà di stabilire aggiuntivi incrementi, fino al 50% dell’imposta, in considerazione delle differenti realtà socio-economiche del territorio di riferimento. Tale facoltà è stata, però: - sospesa dall’art. 1, comma 7, D.L. n. 93/2008 e, successivamente, anche dall’art. 77-bis del D.L. n. 112/2008 (per il triennio 2009-2011); - nuovamente prevista dall’art. 4, comma 4, D.L. n. 16/2012. In tale contesto, limitatamente all’imposta di pubblicità, è intervenuto l’art. 23, comma 7, D.L. n. 83/2012, che ha definitivamente abrogato la facoltà di disporre di ulteriori maggiorazioni all’ICP. Tale groviglio normativo si è arricchito della disposizione di cui all’art. 1, comma 739, legge n. 208/2015 (disposizione oggetto di questione di legittimità costituzionale) che, pur atteggiandosi a norma di interpretazione autentica, si prestava ad un’interpretazione che induceva a ritenere la sussistenza di due diversi regimi giuridici applicabili in materia di ICP, rendendo possibile l’esercizio della facoltà di aumento unicamente per quei comuni che si erano avvalsi di tale facoltà prima del 26 giugno 2012. Tali dubbi sono stati chiariti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 15/2018, secondo cui la norma della legge di Stabilità 2016 funge da norma interpretativa, non creando ingiustificate disparità di trattamento tra enti e limitandosi esclusivamente a precisare la salvezza degli aumenti deliberati dal comune al 26 giugno 2012. Tale data, pertanto, costituisce lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo regime. La Corte Costituzionale ha definitivamente chiarito che - venuta mena la norma che permetteva la previsione di una maggiorazione della tariffa - gli atti di proroga tacita di queste ultime devono ritenersi illegittime, non potendo, invece, essere prorogata una maggiorazione accordata da una norma non più esistente. Tanto è stato altresì ribadito con la risoluzione n. 2/DF del 14 maggio 2018 che, valorizzando i vari passaggi della sentenza, ha chiarito che a partire dall’anno 2013 i Comuni non erano più legittimati ad introdurre o confermare gli aumenti dell’imposta sulla pubblicità. Conseguentemente, tutti gli atti di proroga, anche tacita, degli aumenti devono ritenersi illegittimi, trovando, invece, applicazione dal 2013 in poi le tariffe del D.Lgs. n. 507/1993, rideterminate dal D.P.C.M. 16 febbraio 2001, con conseguente restituzione alle imprese di quanto illegittimamente riscosso. A partire dal 2019 In conclusione, in un contesto normativo in cui la possibilità di disporre di aumenti tariffari dell’ICP era venuta meno a partire dal 2013, nonché alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata della successiva norma di deroga, recata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 15 del 2018, la legge di Bilancio 2019 ha previsto la reintroduzione, a decorrere dal 2019, della facoltà di tutti i comuni di prevedere aumenti tariffari fino al 50% per le superfici superiori al metro quadrato soggette all’imposta comunale sulla pubblicità.