La Corte di Giustizia Ue è stata interpellata nella causa C-562/17 per fornire chiarimenti in merito alle modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia relativamente a un diniego parziale di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) dovuto a una decisione definitiva anteriore a tale diniego. La Corte di Giustizia Ue rileva innanzi tutto che, il procedimento principale riguarda una domanda di rimborso di importi dell’IVA presentata da un’impresa stabilita in un paese terzo, vale a dire in Svizzera. Le modalità per il rimborso dell’IVA ai soggetti passivi non stabiliti nel territorio dell’Unione sono disciplinate dalla tredicesima direttiva, come emerge dal suo articolo 2, paragrafo 1. La Corte ha precisato, a tal riguardo, che le disposizioni della tredicesima direttiva e, in particolare, l’articolo 2, paragrafo 1, devono essere considerati come una lex specialis rispetto agli articoli 170 e 171 della direttiva 2006/112. Il procedimento riguarda inoltre la facoltà per gli Stati membri di limitare nel tempo la possibilità di rettificare le fatture erronee ai fini dell’esercizio del diritto al rimborso dell’IVA. Il giudice del rinvio spiega che, ai sensi del diritto spagnolo, una rettifica del genere non può più produrre effetti dopo che la decisione dell’amministrazione di negare la restituzione è diventata definitiva. La Corte evidenzia che l’instaurazione di misure che fissano un termine, la cui scadenza porti a sanzionare il contribuente non sufficientemente diligente, che abbia omesso di rettificare fatture erronee o incomplete ai fini dell’esercizio del diritto al rimborso dell’IVA, deve essere disciplinata dal diritto nazionale, purché, da un lato, tale procedura si applichi allo stesso modo ai diritti analoghi in materia fiscale fondati sul diritto interno e a quelli fondati sul diritto dell’Unione (principio di equivalenza) e, dall’altro, essa non renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del menzionato diritto (principio di effettività). La Corte ha già statuito che la possibilità di proporre una domanda di rimborso delle eccedenze dell’IVA senza alcuna limitazione temporale si porrebbe in contrasto col principio della certezza del diritto, che esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti e agli obblighi dello stesso nei confronti dell’amministrazione tributaria, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione. La Corte ha riconosciuto compatibile con il diritto dell’Unione la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell’amministrazione interessata. Infatti, siffatti termini non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, anche se, per definizione, lo spirare di detti termini comporta il rigetto, totale o parziale, dell’azione esperita. Nella causa in oggetto non è stato reso praticamente impossibile o eccessivamente difficile far esercitare all’impresa il suo diritto al rimborso dell’IVA. Alla luce di tali considerazioni la Corte di Giustizia Ue dichiara che uno Stato membro può limitare nel tempo la possibilità di rettificare fatture erronee, ad esempio tramite la rettifica del numero di identificazione per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) inizialmente indicato sulla fattura, ai fini dell’esercizio del diritto al rimborso dell’IVA, purché i principi di equivalenza e di effettività siano rispettati, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.