Nell’ambito del reato di omesso versamento IVA, così come previsto dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, l’importo dovuto è quello indicato nella dichiarazione annuale del soggetto obbligato, che, se non versato entro il termine per la presentazione della dichiarazione per l’anno successivo, integra il reato omissivo in questione. Non si calcola invece l’importo effettivo, desumibile dalle annotazioni contabili (Cass. n. 14595/2018). La Cassazione, con la sentenza n. 32731 depositata ik 27 luglio 2023, specifica così che non è possibile invocare una riduzione dell’IVA dovuta sulla scorta di un “presunto credito” non accertato, allegando la compensazione che non risulta nella dichiarazione annuale, sulla scorta dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento dell’imposta evasa nel reato di omessa dichiarazione. Ciò in quanto i due reati (art. 10-ter citato e art. 5 del DLgs. 74/2000) hanno struttura differente: nel caso di omessa dichiarazione spetta al giudice l’accertamento dell’imposta evasa, mentre nel caso di omesso versamento IVA, l’ammontare di questa è indicata nella dichiarazione che il contribuente redige e la espone. In effetti, era già stato evidenziato in altre sentenze come “la ratio della meno grave ipotesi delittuosa prevista dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 sta nel punire il contribuente che, pur essendosi riconosciuto debitore nei confronti dell’Erario, non versa quanto dal medesimo ritenuto dovuto: la sussistenza del reato in relazione al superamento della soglia di rilevanza penale deve risultare ictu oculi evidente dalla dichiarazione presentata e non può postulare l’esito di un accertamento d’indagine aliunde espletato” (Cass. n. 31367/2021). Ciò può ovviamente incidere – come nel caso di specie – sulla determinazione rilevante per la prova del superamento della soglia di punibilità. Ancor più interessante è la precisazione della Cassazione sulle conseguenze della apertura di una procedura concorsuale rispetto agli obblighi tributari. In proposito, in giurisprudenza è stato affermato che, stante il carattere istantaneo del reato in questione, che si perfeziona alla scadenza del termine di legge, l’apertura del fallimento in epoca successiva al momento di consumazione del reato non elide la responsabilità del legale rappresentante al momento della scadenza del versamento, in quanto il soggetto attivo del reato di omesso versamento di ritenute è il legale rappresentante in carica al momento della scadenza del termine previsto dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, a prescindere dal fatto che ricoprisse tale carica al momento della presentazione della dichiarazione (cfr., sebbene in materia di omesso versamento di ritenute, Cass. n. 2741/2018). Il reato di omesso versamento IVA è, infatti, un reato omissivo proprio che si consuma, con il mancato versamento dell’imposta, al momento della scadenza prevista dalla legge (termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo) sulla base – come già detto – della dichiarazione IVA. Tuttavia – evidenzia la sentenza in commento – a diversa conclusione si deve pervenire nel caso in cui la relativa dichiarazione di fallimento, con nomina del curatore fallimentare, sia intervenuta prima del termine ultimo per effettuare il versamento. In tale situazione, il soggetto tenuto ad adempiere all’obbligo di versamento non può più identificarsi nel precedente legale rappresentante della società e ciò perché l’apertura della procedura fallimentare determina lo spossessamento dei beni con conseguente passaggio della gestione sociale in capo al curatore, secondo le disposizioni, in vigore al momento del fatto, di cui al RD 267/1942 (oggi sostituite dal DLgs. 14/2019). Proprio la natura di reato istantaneo individua il soggetto attivo in colui che ha la legale rappresentanza e gestione della società debitrice. Nel caso in esame, risulta che la dichiarazione del fallimento era intervenuta in data 6 dicembre 2013 e, dunque, in epoca precedente alla scadenza del termine per il versamento delle imposte, al 31 dicembre 2013. Di conseguenza viene annullata senza rinvio la condanna del legale rappresentante per non aver commesso il fatto, non essendo soggetto tenuto all’adempimento del debito alla data di consumazione del reato in oggetto.