A seguito delle novità in tema di onere della prova nel processo tributario a carico dell’Agenzia delle Entrate (L. n. 130/2022), le competenti Corti di Giustizia iniziano ad applicare la novella con svariate interpretazioni. È estremamente interessante sul punto la recente decisione n. 2380/2023 della Corte di Giustizia Tributaria di Milano. Si tratta di una delle prime decisioni che ha applicato la novità con riferimento agli accertamenti di tipo analitico – induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973. Secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 5-bis del D.lgs. n. 546/1992, “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni”. Alla luce delle indicazioni fornite dal giudice di merito di primo grado, i professionisti dovranno prestare particolare attenzione alle repliche nel corso dell’udienza rispetto alle argomentazioni degli uffici indicate sia nell’avviso di accertamento, ma anche in eventuali memorie. La controversia in esame riguardava, come detto, un accertamento analitico – induttivo effettuato nei confronti di un contribuente che esercitava un’attività in un locale aperto al pubblico. La Corte di Giustizia di primo grado ha tenuto conto del nuovo obbligo che la legge impone al giudice, cioè di verificare se la prova fornita dall’Agenzia delle entrate fosse o meno “rafforzata”, cioè sufficientemente circostanziata. Nel caso in esame, il giudice di merito ha ritenuto fondata la ricostruzione dei ricavi effettuata in sede di accertamento dall’Agenzia delle entrate. Tuttavia, la replica fornita dal contribuente è stata estremamente puntuale e a fronte di ciò l’ufficio non ha controreplicato, ma si è limitato a ribadire le medesime argomentazioni contenute nell’avviso di accertamento senza aggiungere nulla di nuovo rispetto alle ultime controdeduzioni del ricorrente. L’assenza di una contro replica è stata interpretata dal contribuente come mancanza della prova “circostanziata” richiesta dalla nuova previsione di legge. In buona sostanza, l’Agenzia delle entrate non avrebbe provato a sufficienza la fondatezza dell’avviso di accertamento. Ne è conseguito l’accoglimento del ricorso del contribuente. La decisione dei giudici milanesi è conforme alla posizione espressa dalla Fondazione nazionale dei dottori commercialisti con un recente documento di ricerca. Secondo quanto precisato dalla Fondazione “per effetto del nuovo comma 5 – bis, il legislatore sembra abbia voluto declinare con maggiore dettaglio i criteri in base ai quali, nel processo tributario, il giudice è tenuto a valutare i requisiti di gravità, precisione e concordanza necessari per fondare una prova per presunzione semplice che, pur sempre, può legittimare un accertamento analitico induttivo”. È dunque opportuno che professionisti e contribuenti tengano conto dei contenuti nella sentenza soprattutto nel replicare anche nel corso dell’udienza rispetto a quanto affermato dagli uffici non solo nell’avviso di accertamento, ma in ogni ulteriore e successivo atto processuale. Eventuali repliche, non seguite da una contro replica da parte dello stesso ufficio, possono determinare il successo del contenzioso proprio con riferimento alla mancanza di una prova non circostanziata. Si tratta di una rilevante previsione ed in interpretazione a garanzia del contribuente nell’ambito del processo tributario.