La fattispecie di reato di omessa dichiarazione, previsto dall’art. 5 del DLgs. 74/2000, si consuma nel momento in cui scade il termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione, momento nel quale deve sussistere il dolo specifico di evasione. Tale dolo, a sua volta, presuppone la consapevolezza dell’ammontare delle imposte evase e non dichiarate, non richiedendo affatto la norma anche la coincidenza tra il soggetto gravato dell’obbligo dichiarativo e quello che ha posto in essere le operazioni imponibili. La sentenza n. 20664 depositata il 16 maggio 2023 dalla Corte di Cassazione precisa, in proposito, che non v’è dubbio che il fine di evasione qualifichi la condotta sul piano penale; ove venga accertata un’imposta effettivamente dovuta superiore a quella dichiarata (o non dichiarata affatto) e/o componenti positive di reddito inferiori a quelle effettive o elementi passivi fittizi, l’indagine non avrebbe verificato altro che alcuni degli elementi costitutivi del reato, quelli che qualificano, sul piano oggettivo, l’offesa degli interessi erariali e che giustificano (ma non esauriscono) la rilevanza penale della condotta. Tale indagine non però assorbe quella relativa all’accertamento del dolo specifico di evasione che nei reati dichiarativi concorre a tipizzare la condotta. Altrimenti si corre il rischio di identificare il dolo specifico di evasione con la pura e semplice consapevolezza dell’obbligo dichiarativo violato e dell’entità dell’imposta non dichiarata. Si tratta di un’operazione dogmaticamente errata che trasformerebbe il dolo specifico di evasione nella generica volontà di non dichiarare al Fisco l’imposta dovuta, con l’ulteriore inaccettabile conseguenza di assorbire tutti i reati in materia dichiarativa negli indistinti illeciti amministrativi di cui agli artt. 1 comma 2 e 5 comma 4 del DLgs. 441/1997 e di far sostanzialmente resuscitare la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, già prevista dall’abrogato art. 1 comma 1 del DL 429/1982 (che le Sezioni Unite n. 35/2000 avevano già affermato non essere in continuità normativa con l’art. 5 del DLgs. 74/2000 anche e proprio per la necessità del dolo specifico di evasione, in precedenza non richiesto). Il reato in esame è illecito di modo; il dolo di evasione è volontà di evasione dell’imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penal-tributario. Se nemmeno l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, o le false rappresentazioni contabili e i mezzi fraudolenti per impedire l’accertamento delle imposte, sono sufficienti ad attribuire penale rilevanza alle condotte di cui agli artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000, essendo necessario il fine di evasione, a maggior ragione il “dolo di omissione” non solo non può essere ritenuto sufficiente a integrare, sul piano soggettivo, il reato di omessa dichiarazione, ma nemmeno può essere confuso con il dolo di evasione. La volontà omissiva prova la consapevolezza della sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della condotta. Il dolo di evasione esprime – per la Cassazione – l’autentico disvalore penale della condotta e restituisce alla fattispecie la sua funzione selettiva di condotte offensive a un grado non ulteriormente tollerabile del medesimo bene tutelato anche a livello amministrativo. L’inviolabilità della libertà personale costituisce il metro di misura della rilevanza penale di condotte che potrebbero essere sanzionate in altro modo. La sentenza in esame ripete quanto già affermato dalla Cassazione n. 13090/2023, per cui “al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale ma della persona”. Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura più grave tra l’atteggiamento antidoveroso dell’autore del fatto illecito, l’ordinamento giudico e il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilità della libertà personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena. È proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo.