Redditometro: il contribuente può dimostrare che il reddito non esiste o è inferiore

Redditometro al vaglio delle prove: in materia di redditometro è consentito, al contribuente, provare che il reddito presunto sulla base del coefficiente non esiste o esiste in misura inferiore. È quanto afferma la Corte di Cassazione con ordinanza n. 31844 depositata il 15 novembre 2023, con cui si ribadisce come la disciplina del redditometro introduca una semplice presunzione legale relativa e non fatti certi. Tale principio, tuttavia, è la base da cui parte il ragionamento della Cassazione che va ad ampliarsi su un profilo probatorio importante: “la prova contraria non è limitata a quella prevista dal quinto comma dell'art. 38 dpr 29 settembre 1973 n. 600” e cioè che il maggior reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta. Da ricordare, infatti, che quando si parla di redditometro è imprescindibile che il reddito determinato su via presuntiva ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. Motivo per cui, spiega la Corte della decisione in esame, “l'accertamento non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore”. È, peraltro, il dpr 600/1973 a prevedere proprio all'art. 38 come sia “fatta salva per il contribuente la prova contraria”. A nulla è valso, quindi, che l'Agenzia delle entrate avesse sostenuto davanti ai giudici di legittimità che, in presenza di uno o più beni o servizi compresi nelle specifiche tabelle, l'attività dell'ufficio è vincolata all'applicazione degli indici e dei coefficienti moltiplicatori previsti nei decreti ministeriali attuativi. Tale teoria della parte pubblica si sosteneva per l'ulteriore supposto che il giudice, poiché il possesso di determinati beni è considerato ex lege correlato ad una determinata capacità contributiva, non potesse neanche modificare la capacità presuntiva. Con ciò volendo censurare quanto deciso dai giudici tributari d'appello che avevano privato di efficacia probatoria il calcolo del reddito come determinato in base al redditometro. Nonostante le ragioni della parte contribuente, la Cassazione ha però accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate ma con un ragionamento su un piano probatorio preciso. Stando a quanto le due parti affermavano in giudizio, in pratica, la rideterminazione del reddito imponibile fatta dai giudici di appello non aveva correlazione tra la motivazione e il dispositivo. Con la decisione in analisi la Corte di cassazione ha, pertanto, cassato con rinvio alla Corte tributaria perché “l'errore di calcolo può essere denunciato con ricorso per cassazione quando sia riconducibile all'impostazione delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato” e perciò trattandosi di error in iudicando. Da questo sopra si apre il passaggio conclusivo della decisione ovverosia che la Corte di appello anziché esaminare e valutare quanto allegato e provato dal contribuente per giustificare gli indici di spesa rilevati con l'accertamento sintetico dall'Agenzia delle entrate, ha semplicemente ridotto i coefficienti del redditometro. Ma è in tal maniera che i giudici di secondo grado hanno deviato l'attenzione da quello che avrebbe dovuto essere l'oggetto del proprio giudizio critico: le prove contrarie del contribuente.

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In materia di redditometro, è consentito al contribuente dimostrare che il reddito presunto sulla base del coefficiente non esiste o esiste in misura inferiore

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