Il regime di franchigia IVA, che noi chiamiamo forfetario in funzione delle sue ricadute reddituali, è diffuso nell’Unione europea a macchia di leopardo. La direttiva 2006/112/CE continua a parlare di regimi transitori e di autorizzazioni in deroga. Dal 1° gennaio 2025 si applicherà la direttiva UE n. 2020/285, che uniforma a 85.000 euro il limite del volume d’affari che consente di beneficiare di questo regime, con possibilità di arrivare a 100.000 euro nel caso in cui il contribuente operi in più di uno Stato, situazione che oggi preclude l’accesso al regime. Di fatto - l’ultimo documento disponibile è aggiornato al 1° gennaio 2021 - alcuni Paesi non hanno questo regime (Irlanda, Spagna), altri non superano 10.000 euro (Grecia, Danimarca, Svezia e Finlandia). Anche con la nuova direttiva il regime non è obbligatorio, in quanto i singoli Stati potranno andare da zero a 85.000 euro, senza dover chiedere una deroga. Facciamo ancora riferimento alla nuova direttiva, perché introduce ulteriori semplificazioni per i soggetti minori, prevedendo addirittura (cosa che già avviene in molti Stati) che non debbano nemmeno fare la dichiarazione di inizio attività e pertanto siano esonerati dalla titolarità di una partita IVA e dalla presentazione di una dichiarazione. Questo atto europeo prevede in particolare il possibile esonero dalla fatturazione e dalla tenuta dei registri. E-fattura per tutti dal 2024 Questa premessa ci sembra utile per arrivare al capovolgimento delle regole europee nel nostro Paese, che dal 1° gennaio prossimo impone la fatturazione elettronica a tutti i forfetari, già oggi obbligati nel caso in cui il loro volume d’affari superi 25.000 euro. Così l’art. 18, commi 2 e 3, D.L. n. 36/2022. Quale è la logica di imporre adempimenti che la direttiva sicuramente non vieta? L’evidenza viene dall’eccessivo e spesso anomalo ricorso al regime nel nostro Paese. L’osservatorio delle partite IVA presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze ci fa sapere che lo scorso anno hanno optato per il regime forfetario quasi 240.000 soggetti, su 350.000 persone fisiche, cioè il 68%. Stessi numeri per i quattro anni precedenti, salvo il modesto calo del 2020 per il Covid. Ovvero in un periodo relativamente breve sono passati a questo regime, tenendo conto delle possibili chiusure, oltre un milione di contribuenti. Il principale abuso del regime riguarda i soggetti con un solo committente, spesso assimilabili ai dipendenti. Il ricorso al forfait è comunque l’espressione di una disuguaglianza orizzontale: a 50.000 di incasso lordo, il neo forfetario per cinque anni paga imposte sul reddito per meno di 2.000 euro (il 5%, abbattuto del forfait reddituale del 78%), mentre il dipendente paga più di 15.000 euro, tenendo conto anche delle addizionali comunale e regionale. Certo, il confronto è molto più complesso, per la assoluta precarietà del rapporto nel regime forfetario, oltre alle complessità contributive ben diverse nel lavoro dipendente. L’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica, data l’ampiezza dell’universo interessato dal regime, si giustifica anche con l’esonero da ritenuta per i pagamenti a questi soggetti. A dire il vero i soggetti che corrispondono compensi di questo genere sono oggi tenuti al rilascio della certificazione. Questo obbligo sarà soppresso dal periodo di imposta 2024, per effetto di una disposizione in itinere nel decreto delegato sulle semplificazioni, motivato dall’obbligo di fatturazione elettronica per tutti i forfetari. Ci sarà un problema: la fattura viene normalmente emessa per chiedere il pagamento; le fatture riscosse l’anno successivo concorrono al totale della fatturazione, ma non all’importo reddituale, per il quale vale esclusivamente il criterio di cassa. Come arrivare preparati al 2024 Manca meno di un mese all’effetto di questo adempimento, e quindi i soggetti interessati devono attivarsi o con un provider, i cui costi sono generalmente ragionevoli, oppure iscrivendosi nell’area riservata dell’Agenzia delle Entrate. Non dimenticando anche di aderire alla conservazione elettronica, disponibile per entrambe le opzioni. Un ulteriore elemento dell’adesione a questo tipo di fatturazione consiste nella richiesta di attribuzione del codice univoco del Sistema di Interscambio (SdI), da indicare ai fornitori. Le fatture passive non sono né deducibili (redditi) né detraibili (IVA), ma è opportuno che tutti i movimenti economici siano ordinatamente disponibili in un unico sito, dal quale è possibile estrarre le tabelle in excel, per le opportune totalizzazioni. In estrema sintesi la fatturazione elettronica serve infatti ad evitare che le fatture cartacee non vengano correttamente sommate, anche e soprattutto per controllare che non si superi la soglia di legge.