Gli strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali rafforzati non possono fruire della disciplina di esenzione di cui all'articolo 1, commi da 100 a 114, della legge di bilancio 2017. Lo ha chiarito l'Agenzia delle Entrate con la risposta n. 383 del 12 luglio 2023. L'articolo 60 del decreto legge n. 50/2017 dispone che, al verificarsi di determinate condizioni, i proventi derivanti dagli strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati percepiti da manager e dipendenti «si considerano in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi», configurandosi come una forma di remunerazione della partecipazione al capitale di rischio. La presunzione in questione, operante ope legis, è applicabile nel rispetto dei seguenti criteri: a) effettuazione di un investimento di ammontare minimo pari ad almeno l'un percento dell'investimento complessivo effettuato dall'organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR) o del patrimonio netto nel caso di società; b) maturazione successiva ed eventuale del provento, subordinata alla restituzione agli altri soci del capitale investito ed all'attribuzione di un rendimento minimo (cd. hurdle rate); c) periodo di detenzione minimo di 5 anni, salvo deroga in caso di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione. Ai fini delle imposte sui redditi, l'articolo 1, commi da 100 a 114, della legge di bilancio 2017 prevede un regime di non imponibilità dei redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria, derivanti da determinati investimenti (c.d. "investimenti qualificati") operati tramite piani di investimento del risparmio a lungo termine (cd. "PIR") effettuati nel rispetto di determinate caratteristiche espressamente previste dalla normativa (vincoli e divieti di investimento) (cd. regime PIR). Gli investimenti che compongono il PIR devono rispettare specifici limiti quantitativi di investimento (c.d. plafond annuo e complessivo), determinate caratteristiche (natura e tipologia delle attività oggetto di investimento), specifici vincoli di composizione (cd. quota obbligatoria) e limiti (soglie massime di concentrazione e liquidità). Come affermato nella relazione illustrativa alla predetta legge, si tratta di una disciplina fiscale diretta a favorire la canalizzazione del risparmio delle famiglie verso gli investimenti in strumenti finanziari di imprese industriali e commerciali, italiane ed europee, radicate sul territorio italiano, per le quali maggiore è il fabbisogno di risorse finanziarie e insufficiente è l'approvvigionamento mediante il canale bancario. In applicazione del comma 2-bis dell'articolo 13-bis del decreto legge n. 124/2019, a decorrere dal 19 maggio 2020 è possibile costituire i cd. PIR Alternativi. Ai fini dell'individuazione degli strumenti ammissibili, si deve far riferimento prima facie alla definizione di "strumento finanziario" rinvenibile nell'articolo 1 del testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), che all'articolo 1, comma 2 del TUF definisce «strumento finanziario»: «qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell'Allegato I, compresi gli strumenti emessi mediante tecnologia a registro distribuito. Gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari». La nozione di "strumento finanziario" contenuta nell'articolo 1 e nell'allegato I, sez. C del TUF è da considerarsi "aperta" ovvero in grado di adeguarsi all'evoluzione dei mercati. Le categorie di "valore mobiliare", di "strumenti del mercato monetario" e di "quote di organismo di investimento collettivo", presenti, tra gli altri, nell'allegato I, sez. C del TUF, infatti, rinviano ad altre definizioni normative e regolamentari. In particolare, l'articolo 1, comma 1-bis, del TUF specifica che per «valori mobiliari» «si intendono categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali, quali ad esempio: a) azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e ricevute di deposito azionario; b) obbligazioni e altri titoli di debito, comprese le ricevute di deposito relative a tali titoli; c) qualsiasi altro valore mobiliare che permetta di acquisire o di vendere i valori mobiliari indicati alle lettere a) e b) o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure». La classe dei «valori mobiliari», dunque, è definita mediante una tecnica esemplificativa, essendo in essa espressamente ricomprese anche fattispecie diverse da quelle indicate purché assimilabili. In estrema sintesi, sono «valori mobiliari» quelle categorie di «valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali». La negoziabilità intesa come idoneità ad essere negoziabile, costituisce caratteristica comune agli strumenti finanziari. Tale idoneità, nella sostanza, consiste nella possibilità giuridica di essere oggetto di atti dispositivi e nella possibilità concreta di essere oggetto di circolazione all'interno di un mercato finanziario. Ciò significa che la circolazione dei predetti strumenti non deve essere occasionale e limitata ad un ristretto numero di operatori, né subordinata a vincoli così restrittivi da renderla di fatto pressoché impossibile. La negoziabilità, inoltre, dipende da caratteristiche proprie dello strumento, quali la standardizzazione e la divisibilità. La normativa PIR non richiede necessariamente la negoziazione nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione e, pertanto, nel novero degli strumenti finanziari qualificati ai fini PIR possono essere inclusi anche quelli non negoziati in detti mercati e sistemi multilaterali. In ogni caso, la qualificazione distrumento finanziario, di persé, non è sufficiente per far rientrare l'investimento tra quelli ammissibili ai fini della normativa in esame, ma occorre che lo strumento finanziario a cui sono destinate le somme del PIR presenti caratteri e finalità compatibili con l'impianto previsto dalla normativa. Con riferimento specifico alla costituzione dei PIR Alternativi, la normativa prevede che gli stessi rispettino i seguenti vincoli di investimento: - per almeno i due terzi dell'anno solare di durata del piano, almeno il 70 per cento (cd. quota obbligatoria) del valore complessivo del PIR deve essere investito, «direttamente o indirettamente», in «strumenti finanziari», anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione; - gli strumenti finanziari devono essere emessi o stipulati con imprese fiscalmente residenti in Italia, con imprese residenti in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'accordo sullo Spazio Economico Europeo con stabile organizzazione in Italia; - le imprese, oggetto degli investimenti, devono essere diverse da quelle inserite negli indici FTSE MIB e FTSE Mid Cap della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati; - gli investimenti possono essere rappresentati anche da «prestiti erogati alle predette imprese nonché in crediti delle medesime imprese». Attualmente, a seguito dell'introduzione dell'articolo 13-bis del decreto legge n. 124 del 2019, è prevista la possibilità di detenere gli "investimenti qualificati" anche "indirettamente". Al riguardo, nella circolare n.19/E del 2021 è stato precisato che «l'unico strumento utilizzabile per l'investimento indiretto sia quello partecipativo. Pertanto, si può costituire un PIR destinando risorse agli investimenti qualificati anche attraverso la detenzione di partecipazioni in società veicolo, italiane ed estere, che investono in investimenti qualificati». In particolare, nel medesimo documento di prassi è stato chiarito che, affinché il veicolo possa essere utilizzato per dare rilevanza agli investimenti qualificati "indiretti" deve essere di natura partecipativa e rispettare determinati requisiti, in coerenza con la normativa generale PIR. Pertanto, deve trattarsi di veicoli societari, italiani o esteri, istituiti in Stati UE o SEE che consentano un adeguato scambio di informazioni. Poiché oggetto di agevolazione è l'investimento sottostante, al fine di rispettare la ratio della normativa di esenzione, il veicolo societario deve investire esclusivamente in attività finanziare ammissibili ai fini PIR ("investimenti qualificati" e "investimenti non qualificati"). Le illustrate discipline agevolative perseguono, dunque, finalità diverse: - il regime PIR intende canalizzare il risparmio delle famiglie verso l'economia reale; - la disciplina dei "carried interest" mira ad allineare gli interessi dei dipendenti/manager di società di gestione del risparmio o di altre società a quelli dei quotisti degli OICR o degli azionisti delle società. Ciò posto, con riferimento alla possibilità di includere tra gli investimenti "rilevanti" ai fini del regime PIR gli strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali rafforzati per i quali ricorrono i presupposti previsti all'articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, occorre verificare che lo strumento finanziario a cui sono destinate le somme del PIR presenti caratteristiche e finalità compatibili con l'impianto previsto dalla relativa disciplina. Orbene, la scelta di investire nell'economia reale, circoscritta alle imprese con le quali l'investitore è legato, direttamente o indirettamente, da un rapporto di lavoro, vanificherebbe la ratio del regime di esenzione di favorire l'afflusso di capitale di rischio all'intera economia reale di mercato. In relazione alla possibilità di applicare il regime di esenzione in esame anche ai proventi derivanti da strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, l'Amministrazione finanziaria ha richiesto un parere al Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle Finanze, che ha rilevato che la disciplina dei "carried interest" «è stata introdotta al fine di distinguere in modo netto, sulla base dei requisiti quantitativi e temporali ivi previsti, i proventi qualificabili come redditi di lavoro dipendente o autonomo e i redditi di capitale o diversi ed evitare possibili abusi volti a convertire in modo surrettizio redditi di lavoro (dipendente o autonomo) in redditi di capitale o diversi. I predetti strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, in via generale, vengono emessi al fine di allineare gli interessi dei manager a quelli degli investitori e trovano la loro fonte nei cc.dd. "carried interest arrangement" che sono parte integrante di talune strutture di investimento. Per tali strumenti finanziari, pertanto, non vi è "sollecitazione all'investimento" all'esterno della struttura di investimento. Com'è noto, la disciplina dei PIR ha realizzato l'idea di una consistente incentivazione fiscale del risparmio di lungo termine, di carattere generale, per: - offrire maggiori opportunità di rendimento alle famiglie; - favorire lo sviluppo dei mercati finanziari nazionali; - aumentare le opportunità delle imprese di ottenere finanziamenti per investimenti di lungo termine. La disciplina PIR, quindi, è finalizzata a indirizzare il risparmio delle famiglie, concentrato sulla liquidità, verso l'economia reale. Tale disciplina agevolativa, pertanto, è volta a incentivare gli investimenti nell'economica reale da parte di soggetti che non effettuerebbero tali investimenti in assenza di siffatta disciplina. I soggetti che sottoscrivono (o cui vengono attribuiti) strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, invece, sono soggetti che operano professionalmente nei mercati finanziari e che acquisiscono tali strumenti in virtù dell'attività professionale svolta, a prescindere dalla disciplina PIR». In altri termini, l'inclusione degli strumenti finanziari partecipativi in un PIR non è in linea con la finalità sottesa alla relativa disciplina fiscale agevolativa, volta a favorire la creazione di uno stabile canale, alternativo a quello tradizionale, per far affluire risorse alle imprese dell'economia reale. In conclusione, gli strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali rafforzati non possono fruire della disciplina di esenzione di cui all'articolo 1, commi da 100 a 114, della legge di bilancio 2017.