Con l’ordinanza interlocutoria n. 23549 del 23 settembre 2019, la Corte di Cassazione ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione della riqualificazione degli atti ai fini del registro, dichiarando la rilevanza e la non manifesta infondatezza con riferimento al principio di capacità contributiva ed al principio di eguaglianza, della nuova norma nella parte in cui dispone che, nell'applicare l'imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano considerare unicamente gli elementi desumibili dall'atto stesso, prescindendo da quelli extratestuali. IL FATTO La vicenda trae origine dal contenzioso instaurato da una srl, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate. In relazione ad un complesso di atti negoziali collegati ed asseritamente costituenti un'operazione unitaria. L'Ufficio individuava in sostanza una cessione d'azienda, sebbene realizzata indirettamente attraverso il conferimento di rami aziendali in una società costituita appositamente e la successiva cessione alla ricorrente, delle quote sociali della conferitaria. Riscontrato il presupposto per la riqualificazione giuridica delle operazioni effettuate ai sensi dell'art. 20 del Testo unico registro, l'Ufficio provvedeva al recupero dell'imposta, con un avviso di liquidazione per imposta proporzionale di registro. Avverso tale avviso, la società contribuente proponeva ricorso sostanzialmente sostenendo l'illegittimità della riqualificazione effettuata dall'Ufficio. La CTP rigettava il ricorso, con sentenza che veniva confermata in appello dalla CTR. Ad avviso dei giudici del gravame la riqualificazione compiuta dall'Ufficio, risultava legittima perchè l'operazione pur se articolata in plurimi atti negoziali, doveva considerarsi unitaria ed avente ad oggetto, per ultimo, la cessione dei rami aziendali a favore della contribuente. Avverso la pronuncia la società ricorreva per Cassazione lamentando che in base al dato testuale l' Amministrazione può riqualificare il solo atto presentato alla registrazione e non anche gli atti ad esso esterni ed asseritamente collegati. L'ORDINANZA INTERLOCUTORIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha dato preliminarmente atto che con la Legge di bilancio 2018, l’art. 20 del T.U.R. è stato modificato per chiarire che la qualificazione dell’atto, ai fini dell’imposta di registro, debba avvenire tenendo conto esclusivamente del suo contenuto senza attingere ad elementi extratestuali ovvero ad effetti prodotti da atti ritenuti collegati. Successivamente, con la Legge di bilancio 2019, il legislatore, in contrasto con l'interpretazione fino a quel momento fornito dalla Corte di Cassazione, ha inteso attribuire valenza interpretativa e dunque effetto retroattivo alla modifica. Premettendo che il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, sia ad avviso dei giudici di legittimità, imprescindibile ed anche radicato, e comporti conseguentemente la considerazione di elementi esterni all'atto, la Suprema Corte: a) da un lato, ricorda il suo prevalente e consolidato orientamento, secondo cui l'esclusione degli eventuali elementi extratestuali, sarebbe in contrasto con il principio di capacità contributiva, avendo ormai assunto l'imposta di registro i connotati di vera e propria “imposta” rilevatrice di forza economica; b) dall’altro evidenzia l’altro orientamento sostenuto da un isolato precedente della Suprema Corte e apprezzato dalla dottrina e dalle corti di merito, secondo cui gli Uffici non possano operare la qualificazione, travalicando lo schema negoziale tipico in cui l'atto sia inquadrabile, salva la prova da parte sua, di un disegno strumentale ed elusivo. Dopo aver analizzato i pro ed i contro dei due diversi orientamenti, la Sezione Tributaria, ha ritenuto che il disposto di cui all'art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 sia di non sicura conformità ai precetti di cui agli articoli 53 e 3 Cost. E’ stata, quindi, dichiarata la rilevanza e la non manifesta infondatezza, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986.