In tema di fiscalizzazione degli oneri sociali e mancato rispetto delle retribuzioni e degli orari di lavoro, non è più operativa la norma che prevede che “la perdita della riduzione non può superare il maggior importo tra contribuzione omessa e retribuzione non corrisposta”. Lo ha chiarito il Ministero del Lavoro con l'interpello n. 4 dell'8 maggio 2019. IL QUESITO L’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro ha formulato istanza di interpello al fine di conoscere il parere del Ministero del Lavoro in ordine alla corretta interpretazione delle disposizioni contenute nell’articolo 6, comma 10, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 389 del 1989, in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali. LA RISPOSTA DEL MINISTERO DEL LAVORO Come è noto la disciplina di cui al citato decreto-legge n. 338/1989 è stata introdotta nel nostro ordinamento nell’ambito delle “Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati”. In particolare l’articolo 6, comma 10, del predetto decreto-legge, successivamente modificato dall’articolo 4 del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71, prevede che le riduzioni contributive – consistenti in sgravi e fiscalizzazioni contemplate nella normativa in esame – non spettino nelle ipotesi di cui alle lettere b) e c) del comma 9 del medesimo articolo 6, e cioè in relazione ai lavoratori che siano stati denunciati agli istituti previdenziali con orari o giornate di lavoro inferiori a quelli effettivamente svolti ovvero con retribuzioni inferiori a quelle minime previste dai contratti collettivi, ovvero ancora siano stati retribuiti in misura inferiore a tali retribuzioni minime. In tali casi, come recita testualmente il comma 10 dell’articolo 6, “la perdita della riduzione non può superare il maggior importo tra contribuzione omessa e retribuzione non corrisposta”. In ordine alla vigenza delle predette disposizioni, tale norma consente di “calmierare”, in caso di inadempienza, gli effetti sanzionatori della perdita del beneficio contributivo in precedenza riconosciuto ad un’azienda, assicurando nei confronti del lavoratore interessato una riduzione contributiva proporzionata all’inadempimento commesso e contenuta entro i limiti della maggior somma tra la retribuzione corrisposta e la contribuzione omessa. Tanto premesso, il Ministero rileva che la disciplina contenuta nel predetto articolo 6, commi 9 e 10, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali nel Mezzogiorno, riconosce ai datori di lavoro un’applicazione differenziata del recupero contributivo in relazione alla gravità della violazione, in luogo della revoca totale del beneficio per l’intero periodo di inadempienza. In proposito giova precisare che la circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 3/2017 intende evidenziare, da un lato, la stretta connessione tra il possesso del DURC e l’effettivo godimento dei benefici contributivi per l’azienda considerata nel suo complesso, e dall’altro la rilevanza che assumono le violazioni di legge e/o di contratto nei confronti di singole posizioni contributive dei lavoratori e riferite esclusivamente alla durata in cui tali violazioni sono commesse. Infatti la predetta circolare, nel richiamare la disciplina in esame sulla fiscalizzazione degli oneri sociali di cui all’articolo 6 del citato decreto-legge n. 338/1989, evidenzia che “mentre l’eventuale assenza del DURC (che può peraltro derivare da un’accertata violazione di legge e/o di contratto) incide sulla intera compagine aziendale e quindi sulla fruizione, per tutto il periodo di scopertura, dei benefici, le violazioni di legge e/o di contratto (che non abbiano riflessi sulla posizione contributiva) assumono rilevanza limitatamente al lavoratore cui gli stessi benefici si riferiscono ed esclusivamente per una durata pari al periodo in cui si sia protratta la violazione.”. Ne discende che il principio espresso dalla normativa in esame viene richiamato, nella circolare INL n. 3/2017, nell’ambito di una più ampia e sistematica lettura delle disposizioni normative in materia ed unicamente per dare rilevanza, ai fini dell’eventuale revoca dei benefici fruiti, alle violazioni di legge o contrattuali riscontrate nei confronti dei lavoratori, per i quali i benefici stessi sono stati riconosciuti. Sulla base degli elementi sopra esposti, la disciplina in oggetto, pur enunciando un principio tuttora valido, che pone in stretta connessione il godimento dei benefici contributivi con la regolarità del singolo rapporto di lavoro, risulta circoscritta ad uno specifico ambito di applicazione. E ciò, sia sotto il profilo territoriale che temporale, se si considera che le disposizioni in esame sono state introdotte in relazione a specifici periodi di paga ormai risalenti nel tempo. Per tali ragioni deve quindi ritenersi che tali previsioni siano oggi prive di operatività.