È illegittimo l’avviso di accertamento con cui il Fisco abbia rettificato i ricavi derivanti da cessioni immobiliari, qualora l’unico elemento probatorio sia costituito dallo scostamento tra i prezzi di vendita dichiarati e i valori Omi; inoltre, se è legittimo l’utilizzo combinato e convergente di valori Omi e importo del mutuo ai fini dell’accertamento, le conclusioni così raggiunte non possono essere automaticamente estese ad altre cessioni immobiliari similari. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25510 del 10 ottobre 2019. La legge 88/2009, con effetto retroattivo, ha eliminato la presunzione legale relativa introdotta nel 2006 di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi, così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti ex articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973; pertanto, oggi l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita e il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni Omi, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, come le fatture e gli assegni degli acquirenti che consentano di accertare l’antieconomicità dei prezzi praticati, non sconfessata dal contribuente (Cassazione 30779/2018, 2155/2019). La Suprema Corte ha però più volte ribadito che, pure a voler escludere ogni rilevanza ai valori Omi, a fondare l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili è sufficiente anche soltanto lo scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova (Cassazione 7819/2019, 22348/2018, 22638/2014). Con la sentenza qui commentata, i giudici di legittimità, riconfermando la possibilità per il Fisco di accertare i maggiori ricavi di una società immobiliare sulla sola base dello scostamento tra i prezzi di vendita dichiarati e gli importi dei mutui accessi dagli acquirenti, hanno però posto un paletto a tale prassi. Nel caso di specie, oggetto di accertamento erano state più cessioni di unità immobiliari facenti parte di uno stesso stabile: per alcune, il Fisco aveva proceduto sulla base del solo scostamento dei valori Omi, operazione che, come per gli arresti pregressi, anche stavolta è stata cassata; per un’altra unità immobiliare, invece, l’Ufficio aveva accertato maggiori ricavi non solo sulla base dei valori Omi, ma anche e soprattutto in funzione dell’importo del mutuo, quasi pari al doppio del prezzo di vendita dichiarato, utilizzando poi tale importo anche per le vendite delle altre unità immobiliari oggetto di accertamento e facenti parte dello stesso stabile. I giudici di merito avevano dato ragione al Fisco, ma la Cassazione ha bocciato la decisione, perché il collegio regionale non aveva spiegato per quali ragioni l’importo dell’unico mutuo accesso potesse essere utilizzato non soltanto per l’accertamento di valore della relativa unità immobiliare, ma anche delle altre dello stesso stabile.