Risponde di riciclaggio e non di autoriciclaggio l’imputata che versa su un libretto di deposito di una cooperativa di consumo, e poi preleva con assegni, il denaro provento dell’attività concussiva attuata dal marito. Lo stabilisce la sentenza n. 3608 depositata il 24 gennaio 2019 con la quale la Corte di cassazione ha delineato i non sempre nitidi confini tra ricettazione, favoreggiamento reale, riciclaggio e autoriciclaggio. IL FATTO I fatti sottoposti al giudizio della Corte vedevano imputata la moglie di un pubblico ufficiale che aveva versato su un libretto di deposito di una cooperativa di consumo, per poi prelevarlo mediante assegni, denaro proveniente dall’attività concussiva attuata dal marito, in danno di un imprenditore. La Corte di appello di Torino, investita della questione in sede di impugnazione della sentenza di primo grado, aveva qualificato la condotta posta in essere dall’imputata come riciclaggio. Di diverso avviso la difesa, che aveva impugnato la sentenza di appello, chiedendo di procedere alla riqualificazione del reato da riciclaggio in favoreggiamento reale (articolo 379 del Codice penale) o, al più, in ricettazione (articolo 648 del Codice penale), puniti in misura più mite. La ricorrente riteneva inoltre censurabile la sentenza di appello nella parte in cui questa aveva valutato non riconducibile la condotta dell’imputata nel delitto di autoriciclaggio (articolo 648 1-ter del Codice penale). LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE I giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso, hanno evidenziato che il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione «non tanto con riferimento ai delitti presupposti», quanto piuttosto sulla base di elementi strutturali relativi sia all’elemento soggettivo che a quello materiale. Dal punto di vista psicologico, la ricettazione è punibile a titolo di dolo specifico mentre nel riciclaggio il dolo è generico. Diversa nei due casi è anche la condotta materiale, che nel riciclaggio ha riguardo alla «direzione della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene», in presenza della quale l’intento di lucro, che è essenziale alla configurazione della ricettazione, «può valere a rafforzare, ma non ad escludere, il dolo generico del riciclaggio». Resta preclusa, secondo la Cassazione, anche la possibilità di riqualificazione del fatto addebitato come favoreggiamento reale, dato il rapporto di sussidiarietà sussistente tra le due fattispecie: nel riciclaggio sono, infatti, presenti tutti gli elementi costitutivi del favoreggiamento reale con in più l’elemento specializzante del volontario compimento di operazioni volte ad ostacolare l’accertamento circa la provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità. Infine, la Corte di cassazione ha ritenuto non configurabile il delitto di autoriciclaggio, mancando in questo caso il requisito dell’impiego, della sostituzione o del trasferimento in attività economiche o finanziarie di denaro o di altre utilità di illecita provenienza. Secondo la Corte, infatti, il semplice deposito di una somma su un conto corrente o un libretto di deposito, non essendo attività finalizzata alla produzione di beni o alla fornitura di servizi non potrebbe riguardarsi come attività economica. Né potrebbe parlarsi di attività finanziaria, non essendo riconducibile la condotta contestata ad alcuna ipotesi di gestione del risparmio con individuazione degli strumenti per la realizzazione di tale scopo.