La riforma dello sport, in vigore dal 1° luglio e concretamente attuata con l’approvazione del D.Lgs. n. 36/2021, ha dato luogo ad una vera e propria rivoluzione con riferimento ai rapporti di lavoro sportivo. Prima della riforma dello sport In precedenza, gli atleti dilettanti non potevano essere titolari di contratti di lavoro. Erano titolari esclusivamente di accordi economici non cedibili i cui compensi erano completamente esclusi dalla tassazione, per effetto del combinato disposto degli articoli 67 e 69 TUIR, fino a 10.000 euro. Tale circostanza, cioè l’impossibilità di sottoscrivere un vero e proprio contratto di lavoro, impediva di fatto la percezione di somme ogniqualvolta un atleta si tesserava per un altro club. In linea teorica, la società titolare del precedente rapporto di tesseramento poteva percepire esclusivamente un’indennità, per l’addestramento e la formazione tecnica del giovane che aveva deciso di cambiare squadra. Gli accordi economici non erano cedibili e, conseguentemente, qualsiasi percezione di somme ad altro titolo sarebbe risultata illegittima. Cosa è cambiato dal 1° luglio 2023 Il rapporto di lavoro sportivo è disciplinato dall’art. 28, D.Lgs. n. 36/2021. Il comma 2 di tale disposizione prevede che “nell’area del dilettantismo, il lavoro sportivo si presume oggetto di contratto di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa” quando ricorrono una serie di requisiti. Tuttavia, il rapporto può essere anche di lavoro dipendente. L’art. 31 del medesimo decreto legislativo prevede ancora il diritto per le società sportive che tesserano l’atleta alla percezione di un premio di addestramento e formazione tecnica. Il diritto sorge allorquando viene stipulato il primo contratto di lavoro sportivo. La medesima disposizione prevede la graduale abrogazione del vincolo sportivo. La misura del premio “è individuata dalle singole federazioni secondo modalità e parametri che tengano adeguatamente conto dell’età degli atleti, nonché della durata e del contenuto patrimoniale del rapporto tra questi ultimi e la società o associazione sportiva con la quale concludono il primo contratto di lavoro sportivo”. Qual è il trattamento fiscale delle somme percepite? Il trattamento fiscale delle somme percepite è disciplinato dal successivo art. 36. Tuttavia, la possibilità per gli atleti di essere titolari di un contratto di lavoro sportivo determina, quale ulteriore conseguenza, la possibilità per le società di effettuarne la cessione. Il legislatore fiscale tiene quindi conto delle somme percepite a causa della cessione del contratto rispetto alle diverse somme aventi natura di premio di addestramento e formazione tecnica. In primis, la disposizione citata prevede che le somme percepite a titolo di premio per la formazione tecnica del giovane atleta siano equiparate alle operazioni esenti da IVA ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 633/1972. Inoltre, tali somme non concorrono neppure alla formazione del reddito e del monte incassi delle società ed associazioni sportive dilettantistiche che hanno optato per l’applicazione del regime forfetario di cui alla legge n. 398/1991. Si tratta, quindi, di somme completamente escluse dalla tassazione. Ciò in ragione della causa sottostante alla percezione delle stesse. Invece, i corrispettivi percepiti a seguito della cessione di contratti di lavoro sportivo si considerano a ogni effetto, e per quanto disposto dall’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972, prestazioni di servizi. In mancanza di una disposizione che ne preveda l’esenzione, l’imposta sul valore aggiunto sarà dovuta nella misura ordinaria del 22%. L’importo pagato a tale titolo costituirà di fatto un maggior costo per la società sportiva acquirente il contratto qualora tale società abbia optato per il predetto regime forfetario. Infatti, in tale ipotesi, l’IVA non potrà essere considerata in detrazione analiticamente. L’art. 36 della riforma dello sport ha però precisato che i corrispettivi percepiti con la cessione dei contratti di lavoro sportivo possono essere completamente detassati per effetto dell’agevolazione prevista dall’art. 148, comma 3, TUIR. Ciò a condizione che l’associazione sportiva non intenda iscriversi al RUNTS ritenendo conveniente applicare la riforma del Terzo settore. Un motivo in più, quindi, per non iscriversi nel predetto registro. Infatti, ove non trovasse applicazione la disciplina della decommercializzazione dei proventi, la società cedente dovrebbe assolvere l’IRES sulla plusvalenza realizzata.