La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24259 del 30 settembre 2019 e successive, scinde i momenti giuridici rilevanti ai fini del rimborso delle accise. Da un lato, infatti, sta il rapporto tributario ordinario, ossia quello collegato al fatto generatore dell’imposta e del conseguente suo (indebito) pagamento; dall’altro, sta il diritto al beneficio del rimborso di detto pagamento, che è attivabile solo in presenza di tutti i suoi presupposti. Il principio è molto innovativo, soprattutto in materia di accise, e si ritiene possa essere esteso, in generale, a tutti i rapporti tributari: se esiste un termine per un rimborso, esso non deve essere calcolato a far data dal pagamento del quantum non dovuto, ma dall’esistenza di tutte le condizioni per poter accedere al beneficio. In materia di imposizione di consumo sui carburanti, in concreto, sono agevolate le forniture effettuate ai sensi degli articoli 17 e 24 del Testo unico accise (Tua). Per esempio, come nei fatti di causa, sono agevolate, per ovvie ragioni, le forniture effettuate alle forze armate. Queste forniture, spesso, avvengono con oggetto carburanti che hanno scontato l’imposta piena all’atto della loro estrazione da un deposito fiscale e, dunque, quando sono immessi in consumo; successivamente sono forniti in esenzione. Tuttavia, con la prova della consegna e, tra l’altro, l’attestazione della presa in carico dal preposto delle forze armate, il soggetto fornitore può richiedere il rimborso. Tuttavia, in questi casi, per la Cassazione non viene in rilievo il termine di cui all’articolo 14 del Tua allora vigente, che è biennale e che, per come è formulato, si pone come un punto di principio per il quale, entro due anni, il contribuente può richiedere l’accisa indebitamente pagata. Questa norma, infatti, si applica alle sole ipotesi di procedura di accredito e fa riferimento alla sola obbligazione primaria, quella relativa all’immissione in consumo di prodotti sottoposti ad accisa. Rileva, invece, la norma quadro all’articolo 21 del Dlgs 546/1992, per cui il termine biennale generale per i rimborsi scatta dal pagamento o, se posteriore, «dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione». Pertanto: - si forma una nuova cesura tra l’obbligazione tributaria definita con il pagamento dell’accisa e il diritto alla restituzione dell’indebito; - la richiesta di rimborso deve avvenire entro due anni dal verificarsi di tutti i presupposti della restituzione, che nel caso di specie constano, tra l’altro, delle attestazioni di effettivo impiego ricevute dal cedente e sottoscritte dal cessionario agevolato. È bene osservare che la Cassazione si distanzia dai propri precedenti orientamenti, ma lo fa in maniera apparente. Non si nega, infatti, l’applicazione del termine dell’articolo 14 Tua, ma lo si riconduce al solo rapporto ordinario, quello del pagamento dell’accisa. Non lo si estende, invece, a ciò che avviene dopo, che è eventuale, azionato se del caso dal fornitore avente diritto, e che invece si computa a far data dall’esistenza di tutti i relativi presupposti fattuali. Il principio è innovativo, oltre che chiaro negli argomenti di sostegno, che non mancano di richiamare le decisioni della Corte di giustizia (ad esempio C-427/10) e di osservare la recente modifica dell’articolo 14 Tua, dal 2016 in allineamento con l’articolo 21 del Dlgs 546/92. Ma la sostanza non cambia: solo se i presupposti esistono e sono integrati si attiva il conto del termine per un rimborso.