Il Trattamento di fine mandato (“TFM”) è un’indennità che spesso le Società corrispondono agli amministratori alla scadenza del loro incarico. È dunque un compenso aggiuntivo a quello ordinario stabilito dallo statuto o dall’assemblea dei soci. Il suo ammontare è determinato in base a criteri di ragionevolezza e congruità rispetto alla realtà economica dell’impresa. Sotto il profilo fiscale, il TFM è deducibile ai fini IRES per competenza temporale – ai sensi dell’art. 105, comma 4, del TUIR – in misura pari ai relativi accantonamenti. Sebbene non vi sia una disciplina ad hoc, la deducibilità di tali accantonamenti trova fondamento giuridico nell’art. 17, comma 1, lettera c) del TUIR. Tuttavia, per effetto del rinvio alla disciplina (equipollente) degli accantonamenti per quiescenza e previdenza, la deducibilità per competenza temporale degli accantonamenti per TFM è legata alla condizione essenziale che il diritto all’indennità risulti da un atto recante “data certa” anteriore all’inizio del rapporto. In difetto, la deduzione del costo avverrà nell’anno di erogazione dell’indennità in base al principio di cassa, in virtù del rapporto sottostante cui si riferisce (in tal senso si è espressa l’Agenzia delle Entrate con Risoluzione n. 211/E/2008 e la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 18445 del 10.7.2023). Tuttavia, non è infrequente il caso in cui gli amministratori rinuncino – in tutto o in parte - al diritto a ricevere il TFM loro spettante, accantonato dalla Società negli esercizi precedenti. In tali circostanze, occorre prestare attenzione al regime fiscale – ai fini IRES – di tali rinunce. Un tema sul quale si è pronunciato l’AdE con Risoluzione n. 124/E del 2017. Questa ci ricorda che, nel caso di rinunce, occorre considerare due diverse fattispecie legate alla tipologia degli amministratori: soci e non soci. A tal riguardo, giova segnalare che l’art. 88, comma 4-bis del TUIR, introdotto dall’art. 13 del D.lgs. n. 147 del 14.9.2015, stabilisce che, a partire dal 2016, “La rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero”. Tale regime qualifica fiscalmente come “apporto” la sola parte della rinuncia che corrisponde al valore “fiscale” riconosciuto al credito. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’amministratore titolare del diritto al TFM sia anche socio, la sua rinuncia al credito genera sopravvenienza tassata in capo alla società per la (sola) parte di credito eccedente il suo valore fiscale. A tal fine, in base alla suddetta disposizione normativa, il socio sarà tenuto a produrre alla società partecipata una “dichiarazione sostitutiva di atto notorio” relativa al valore fiscale del credito rinunciato. Nei limiti del valore fiscale del credito, il socio aumenta il costo della partecipazione e la società partecipata rileva un apporto non tassato. In assenza di tale “dichiarazione”, la società beneficiaria della rinuncia assoggetta a tassazione tutta la sopravvenienza attiva, ai sensi dell’art. 88, comma 1, del TUIR, poiché la rinuncia trova la sua causa nell’animus donandi. Tuttavia, par d’uopo segnalare che, in virtù di quanto previsto nel richiamato documento di prassi del 2017, qualora il titolare del credito da TFM sia un socio amministratore non esercente attività d’impresa, il valore fiscale dei crediti rinunciati è pari al loro valore nominale, per cui la suddetta comunicazione alla società partecipata dei valori fiscali dei crediti rinunciati non è necessaria. La comunicazione in parola è invece condizione essenziale per poter scongiurare la tassazione della sopravvenienza attiva in capo alla società solo nell’ipotesi di partecipazione detenuta da una persona fisica nell’esercizio di attività d’impresa. In sintesi, quindi, qualora ci si trovi al cospetto di amministratori soci che, attraverso la rinuncia alle quote di TFM accantonate dalla società partecipata, intendano apportare nuove risorse al patrimonio della stessa – con relativo aumento del costo della partecipazione da essi detenuta – la società non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva ai sensi del richiamato art. 88, comma 4-bis, del TUIR. Inoltre, la “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà” sarà necessaria nella sola ipotesi in cui l’amministratore socio eserciti attività d’impresa. Qualora, invece, la rinuncia al credito da TFM riguardi amministratori non soci, la situazione è ben diversa, dal momento che il comma 4-bis dell’art. 88 del TUIR fa esplicito riferimento alla qualifica di socio e, dunque, la relativa disciplina non trova applicazione con riferimento alle rinunce esercitate da amministratori non soci. In tal caso, trova invece applicazione il 1° comma dell’art. 88 del TUIR, secondo cui “si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi…”. Per l’effetto, se la società ha dedotto le quote di TFM accantonate nei vari esercizi, a seguito della rinuncia al TFM da parte di amministratori non soci, sarà tenuta a rilevare una sopravvenienza attiva tassabile. Sulla scorta delle suddette considerazioni, la rilevanza fiscale delle rinunce al TFM da parte degli amministratori andrà sottoposta al prudente apprezzamento dei suddetti presupposti.