Con la risposta n. 203 del 15 ottobre 2024, l'Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di rinuncia unilaterale al credito nei confronti del fallimento e relativa emissione della nota di variazione ai sensi dell'articolo 26 del D.P.R. n. 633/1972. Con riferimento all'ipotesi di mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo, derivante dall'apertura di procedure concorsuali a carico del cessionario/committente, avviate prima del 26 maggio 2021, l'emissione delle note di credito resta disciplinata dalla previgente versione dell'articolo 26 in commento, che richiede la conclusione infruttuosa delle medesime procedure. In particolare, con diversi documenti di prassi, è stato individuato il momento in cui dette procedure possono considerarsi infruttuosamente concluse, ossia, con riguardo al fallimento, quando è scaduto il termine per le osservazioni al piano di riparto stabilito con decreto dal giudice delegato ovvero, in assenza del piano di riparto, quando è scaduto quello per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso, previsto dall'articolo 119 della legge fallimentare. Il legislatore nazionale ha fatto proprio il contenuto della disciplina comunitaria, sicché, conformemente ad essa, gli eventi "simili" cui rinvia la norma sono quelli nella sostanza riconducibili alle ipotesi di «dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione», per effetto delle quali l'operazione economica originaria, che ha determinato l'esercizio della rivalsa dell'imposta, viene meno in tutto o in parte, ovvero, stante una precisa previsione contrattuale (i.e., clausola attributiva della facoltà di recesso), viene meno l'operazione sottostante all'emissione della fattura; a tutela della neutralità dell'imposta, a fronte della nota di variazione emessa, «il cessionario o committente, che abbia già registrato l'operazione ai sensi dell'articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell'articolo 23 o dell'articolo 24, nei limiti della detrazione operata [...]» (così l'attuale comma 5 dell'articolo 26, ma similmente anche la disciplina pregressa). Il legislatore nazionale ha, poi, circoscritto la possibilità di ridurre la base imponibile e la relativa imposta, nel caso di mancato pagamento, alle sole ipotesi di esito negativo di una procedura concorsuale o di una procedura esecutiva individuale, stabilendo al contempo che l'imposta non va recuperata nell'ipotesi di procedure concorsuali (così l'attuale comma 5, secondo periodo dell'articolo 26). L'articolo 26 contempla, infine, un'altra ipotesi in cui è consentita la variazione, disponendo al comma 9 che «[n]el caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di cui al comma 2 non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni». In tale evenienza, come chiarito dal principio di diritto n. 11 del 6 agosto 2021, «in presenza dell'attivazione di una clausola risolutiva espressa, in dipendenza della quale venga meno per intero o parzialmente un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24 del decreto IVA, si considera legittima l'emissione - ai sensi dell'articolo 26, commi 2 e 9, d.P.R. n. 633/1972 - di una nota di variazione anche in presenza di una contestazione, in sede giudiziale, dei presupposti per l'attivazione della predetta clausola risolutiva espressa, senza che al riguardo si renda "(...) necessario attendere un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell'anzidetta causa di risoluzione". Ne consegue l'obbligo per il cessionario o per il committente di applicare le disposizioni di cui all'articolo 26, comma 5, del d.P.R. n. 633/1972, secondo cui "Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l'operazione ai sensi dell'articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell'articolo 23 o dell'articolo 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell'importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa". Resta fermo l'obbligo, da parte del cedente/prestatore, di emettere nota di debito qualora l'eventuale e successivo accertamento giudiziale risulti favorevole alla controparte». Lo scopo perseguito dalla norma innanzi citata è evidentemente quello di evitare comportamenti arbitrari dei contribuenti che consentano di eludere il corretto assolvimento degli obblighi fiscali a loro carico. D'altronde, l'esercizio della rivalsa mediante addebito dell'IVA non è una facoltà rimessa al libero arbitrio del cedente/prestatore, ma è un obbligo di legge che il medesimo non può esimersi dall'esercitare al verificarsi dell'esigibilità dell'imposta (così l'articolo 18 del decreto IVA: «Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente»). Conformemente a detto scopo, le fattispecie contemplate dall'articolo 26, sopra richiamate, attengono: (i) a vizi ontologici dell'atto; (ii) alla fase dell'esecuzione del contratto; (iii) a specifiche previsioni contrattuali (clausola attributiva della facoltà di recesso o della possibilità di concedere sconti o abbuoni); (iv) a un accordo sopravvenuto delle parti; e, diversamente dalla rinuncia al credito (rectius, remissione del debito) ex articolo 1236 c.c., non sono riconducibili ad una mera determinazione unilaterale di uno dei contraenti che, per produrre effetti estintivi (del credito/debito), richiede la comunicazione all'altra parte - trattandosi di un atto recettizio - e il comportamento concludente di quest'ultima (mancato rifiuto entro un congruo termine). Al riguardo, si evidenzia che, nell'ambito dell'articolo 26 del decreto IVA, l'unico caso nel quale il legislatore, ai fini della emissione della nota di variazione, attribuisce rilevanza alla volontà sopravvenuta - rispetto al contratto originario - (non di una, ma) di entrambe le parti contraenti, è quello previsto dal già citato comma 3 della disposizione, che consente l'emissione della nota di variazione, entro il ristretto termine di un anno dall'effettuazione dell'operazione originaria, qualora, "in dipendenza di un accordo sopravvenuto", la stessa operazione venga meno in tutto o in parte o se ne riduca l'ammontare imponibile. Con la circolare del 17 aprile 2000, n. 77 - con riferimento alla disciplina applicabile alle procedure aperte prima del 26 maggio 2021 - è stato chiarito che, «per quanto attiene, in particolare, all'ipotesi di mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali, rimaste infruttuose, dell'importo fatturato, è da rilevare, in via generale, che tale circostanza viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell'attivo. Il verificarsi di tale evento postula, quindi, in via preventiva, da un lato l'acclarata insolvenza dell'importo fatturato e l'assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall'altro la necessaria partecipazione del creditore al concorso». Conseguentemente, la nota di variazione potrà essere emessa - in assenza di una specifica previsione contrattuale ovvero di un accordo sopravvenuto dei contraenti (entro un anno dall'operazione originaria) - solo all'esito finale infruttuoso della procedura concorsuale.