Da giovani ci sono altre urgenze, da meno giovani ci sono costi troppo elevati: è la tenaglia delle ragioni che scoraggiano molti laureati dal mettere a frutto, ai fini della pensione, gli anni passati all’università. Il “riscatto” - questo il termine tecnico corretto - in effetti si scontra, appena finiti gli studi, con esigenze ben più prossime, quali possono essere il rendersi indipendenti, acquistare o affittare una casa o un’auto, mentre nell’ultima parte della vita lavorativa i costi diventano così elevati da dissuadere i richiedenti. Le nuove regole Ora il decreto legge 4 introduce, in un solo articolo (il 20), due novità: - da una parte c’è una possibilità agevolata di riscatto per gli anni del corso di laurea, con un meccanismo identico a quanto è già previsto da anni per i cosiddetti “inoccupati” (chi non ha mai avuto un contributo versato in tutta la sua vita); - dall’altra consente di colmare eventuali buchi contributivi, fino a un massimo di cinque anni, per periodi nei quali si è lavorato ma non in regola con i versamenti previdenziali. Entrambe le misure pongono come limite l’anno 1996, quando cioè ha debuttato nel nostro ordinamento il sistema contributivo di calcolo della pensione, sostituendo (o, per chi già lavorava, affiancando) quello retributivo. Così, la possibilità di colmare i “buchi” di versamento all’Inps è riservata a chi non ha contributi versati prima del 31 dicembre 1995. E la facoltà agevolata di riscatto della laurea è pure riservata a periodi di corso dal 1996 (compreso) in poi, anche se in questo caso non è di ostacolo aver avuto altri versamenti in precedenza, ad esempio per aver svolto il servizio di leva. Lo spartiacque del 1996, dopo aver generato qualche dubbio nella fase di stesura del decreto, tanto che si era immaginato di estendere la facoltà di riscatto agevolato fino ai 50 anni di età dei richiedenti, è subito finito nel mirino dei tecnici di Camera e Senato, che sospettano dubbi di costituzionalità. In particolare, i tecnici invitano a valutare, «secondo il principio costituzionale della parità di trattamento, le ragioni della diversità dei criteri di calcolo a seconda che il soggetto si trovi al di sotto o al di sopra di una certa soglia anagrafica». Peraltro, il riscatto light è riservato alle sole gestioni Inps, e i tecnici hanno sottolineato che, nell’ordinamento vigente fino al decreto legge 4/2019, il riscatto è previsto anche per lavoratori diversi da quelli subordinati. La convenienza Conviene? Alle casse dello Stato e dell’Inps, molto probabilmente, sì. Infatti la relazione tecnica al decreto legge non immagina particolari scossoni per i conti pubblici, considerando le poche domande finora presentate - nel biennio 2016/2017 se ne contano 11mila all’anno, alle quali va aggiunto un centinaio di domande da “inoccupati” - e valutando inoltre che la possibilità di anticipare il ritiro si tradurrà poi in un importo più basso di pensione, a causa dell’applicazione di un coefficiente di trasformazione con età anticipata. Ai laureati e ai loro genitori conviene? Qui la risposta giusta non esiste. Dal punto di vista puramente finanziario, esistono certo strumenti di investimento (polizze, fondi pensione) che possono garantire rendimenti migliori, al netto degli scossoni e dei rovesci dei mercati. Ma che certo non possono modificare le regole per il ritiro dal lavoro. Che per i neo-laureati è un traguardo lontanissimo, ma per i loro genitori (già testimoni di quattro riforme previdenziali e innumerevoli ritocchi in poco più di vent’anni) è soprattutto un traguardo mobile.