In linea di principio i redditi fondiari, derivanti dalla locazione di immobili, devono essere dichiarati anche se non materialmente percepiti (art. 26 del TUIR). Ciò perlomeno fino a quando non sia stata avviata un’azione di sfatto o il creditore non abbia ottenuto un decreto ingiuntivo. Questa possibilità di deroga, che obbliga i contribuenti a dichiarare i canoni di locazione maturati, non trova applicazione con riferimento agli immobili commerciali (o non abitativi). In tale ultima ipotesi i canoni di locazione maturati devono essere dichiarati fin quando è in “vita” il relativo contratto da cui trae origine la pretesa creditoria. Infatti, il presupposto essenziale per l’imponibilità dei canoni di locazione è costituito dall’esistenza di un valido contratto. L’indicazione proviene dalla Corte Costituzionale, ed in particolare dalla sentenza n. 362 del 27 giugno 2000. La sentenza ha affermato espressamente che la risoluzione del contratto di locazione preclude l’imposizione dei predetti canoni consentendo il prelievo tributario esclusivamente sulla rendita catastale. Tuttavia, non sarà facile dimostrare in concreto all’Agenzia delle entrate l’avvenuta risoluzione del contratto di locazione. Secondo l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione assume rilevanza la data di registrazione. Essa attribuisce alla risoluzione la data certa che ai sensi dell’art. 2704 del c.c. consente di opporre i contenuti della scrittura privata all’Amministrazione finanziaria. Conseguentemente, se le parti registrano oggi una scrittura privata da cui si desume la risoluzione del contratto avvenuta, però, 18 mesi fa, la non imponibilità dei canoni di locazione è consentita solo da oggi. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 41954 del 30 dicembre 2021. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio ha meglio precisato il citato orientamento (decisione dell’8 gennaio 2023 n. 17/11/23). Secondo il giudice di merito la maggiore criticità risiede nel fornire la prova della data di scioglimento del rapporto contrattuale. La dimostrazione della risoluzione del rapporto contrattuale può però avvenire anche con altri mezzi di prova rispetto alla registrazione. Nel caso affrontato dal giudice di merito la risoluzione del contratto è stata riconosciuta dal Tribunale civile. Conseguentemente, secondo la Corte di Giustizia di secondo grado del Lazio non può dubitarsi sull’avvenuta risoluzione della locazione. Essa risulta opponibile all’Agenzia delle entrate con decorrenza dalla data in cui il Tribunale ha sancito l’avvenuta interruzione del rapporto contrattuale che, evidentemente, è ben precedente rispetto alla sentenza del Tribunale stesso. In tale ipotesi, secondo il giudice di merito, non sussisterebbero dubbi sulla data certa di avvenuta risoluzione del rapporto. Conseguentemente, a partire da tale data, i canoni di locazione dell’immobile non sarebbero più imponibili. Tale fattispecie è quindi ben diversa rispetto al caso in cui le parti comunichino tardivamente all’Agenzia delle entrate la risoluzione del contratto. Tale comunicazione non assicurerebbe in alcun modo la certezza della data. Ciò diversamente dalla pronuncia del Tribunale civile. Il predetto Tribunale ha così accertato lo scioglimento del rapporto contrattuale e soprattutto la data a partire dalla quale si è verificato tale scioglimento. Tale pronuncia non può quindi essere ininfluente sotto il profilo fiscale con la conseguente esclusione dalla tassazione dei canoni di locazione immobiliari.