La Corte di Giustizia UE è stata interpellata in alcune cause che sono state riunite in quanto, le singole domande di pronuncia pregiudiziale, vertono sull’interpretazione della direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, nonché degli articoli 49, 54 e 63 TFUE. Tali domande sono state proposte nell’ambito di controversie in merito all’obbligo, incombente alle società medesime, di applicare un’imposta, trattenuta alla fonte, sugli interessi corrisposti a società non-residenti, non considerate dall’Amministrazione finanziaria quali beneficiari effettivi degli interessi stessi, con conseguente esclusione, nei loro confronti, del beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte previsto dalla direttiva 2003/49. LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE La Corte di Giustizia Ue, nella sentenza del 26 febbraio 2019, rileva che le questioni sollevate dal giudice a quo vertono su tre temi: - il primo attiene alla nozione di «beneficiario effettivo» nonché all’esistenza di un fondamento normativo che consenta ad uno Stato membro di negare, a fronte della realizzazione di un abuso, il beneficio dell’esenzione dall’imposta ad una società che abbia corrisposto interessi ad un’entità stabilita in un altro Stato membro; - il secondo tema verte sugli elementi costitutivi di un eventuale abuso e dei relativi mezzi di prova; - il terzo tema verte sulla possibilità per uno Stato membro di negare ad una società i benefici di cui alla direttiva 2003/49, concerne l’interpretazione delle disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali, onde consentire al giudice del rinvio di verificare se la normativa danese violi tali libertà. Dopo un’attenta analisi delle varie cause e della normativa, la Corte di Giustizia Ue ha dichiarato: - che la direttiva concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, dev’essere interpretato nel senso che l’esenzione da qualsiasi tassazione per gli interessi versati ivi prevista è riservata ai soli beneficiari effettivi degli interessi medesimi, vale a dire alle entità che beneficino effettivamente, sotto il profilo economico, degli interessi percepiti e dispongano, pertanto, del potere di deciderne liberamente la destinazione. A fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità ed i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell’esenzione da qualsiasi tassazione degli interessi versati, anche in assenza di disposizioni del diritto nazionale o convenzionali che ne prevedano il diniego; - la prova di una pratica abusiva può basarsi sulla sussistenza di taluni indizi, sempreché si tratti di indizi oggettivi e concordanti. Possono costituire indizi di tal genere l’esistenza di società interposte prive di giustificazione economica nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti. La circostanza che lo Stato membro da cui provengono gli interessi abbia concluso una convenzione con lo Stato terzo in cui risiede la società che ne è beneficiaria effettiva è irrilevante sull’eventuale accertamento di un abuso; - al fine di negare ad una società il riconoscimento dello status di beneficiario effettivo di interessi ovvero di accertare la sussistenza di un abuso, un’autorità nazionale non è tenuta ad individuare la o le entità che essa consideri beneficiari effettivi degli interessi medesimi; - una società in accomandita per azioni (SCA), omologata come società d’investimenti in capitali a rischio (SICAR) di diritto lussemburghese non può essere qualificata come società di uno Stato membro idonea a beneficiare dell’esenzione qualora, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare, gli interessi percepiti dalla stessa SICAR, in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale, siano esenti dall’imposta sui redditi degli enti associativi in Lussemburgo; - nel caso in cui il regime di esenzione dalla ritenuta d’imposta alla fonte sugli interessi corrisposti da una società residente in uno Stato membro ad una società residente in un altro Stato membro, non sia applicabile per effetto dell’accertamento dell’esistenza di una frode o di un abuso, l’applicazione delle libertà sancite dal Trattato FUE non può essere invocata al fine di mettere in discussione la disciplina di tassazione degli interessi medesimi del primo Stato. Al di fuori di tale ipotesi, l’articolo 63 TFUE dev’essere interpretato nel senso che: - una normativa nazionale può decidere che una società residente che corrisponda interessi ad una società non residente sia tenuta ad operare, sugli interessi medesimi, una ritenuta d’imposta alla fonte, mentre tale obbligo può non gravare sulla società stessa nel caso in cui la società percettrice degli interessi sia una società parimenti residente; - una normativa nazionale non può imporre alla società residente, tenuta a procedere alla ritenuta d’imposta alla fonte sugli interessi dalla medesima corrisposti ad una società non-residente, in caso di tardivo assolvimento di tale ritenuta, interessi di mora ad un tasso più elevato rispetto a quello applicabile in caso di ritardato pagamento dell’imposta sulle società, gravante, segnatamente, sugli interessi percepiti da una società residente da parte di altra società residente; - una normativa nazionale non può, nel caso in cui una società residente sia tenuta ad operare una ritenuta d’imposta alla fonte sugli interessi corrisposti ad una società non residente, escludere la deducibilità, a titolo di costi d’esercizio, degli oneri finanziari sostenuti dalla medesima e direttamente connessi all’operazione di finanziamento de qua, mentre, in base alla normativa stessa, tali oneri finanziari sono deducibili ai fini della determinazione del reddito imponibile di una società residente che percepisca interessi da altra società residente.