La cosiddetta “rottamazione-ter” non coinvolge le cause nate dal rigetto dell’istanza con cui il contribuente ha chiesto all’Agenzia delle Entrate la revoca, in via di autotutela, dell’avvio della procedura esecutiva da parte del Concessionario della riscossione, per effetto della decadenza da una precedente definizione agevolata. È quanto emerge dalla sentenza n. 3604 del 7 febbraio 2019 della Corte di Cassazione (Sez. V civ.). IL FATTO Il giudizio riguarda un contribuente che ha aderito al condono ex art. 12 L. n. 289 del 2002 e che in seguito è decaduto dalla sanatoria, in mancanza del pagamento del saldo. Il giudice di secondo grado si è espresso in senso sfavorevole all’Agenzia delle Entrate, avendo ritenuto che l’ufficio potesse ambire a riscuotere soltanto il rateo non pagato, con maggiorazione di sanzioni e interessi. E ciò, in quanto il contribuente aveva tempestivamente presentato la domanda di condono ed aveva altresì provveduto al pagamento della prima rata pari all’80% del dovuto per effetto del beneficio. A fronte di tale decisione, l’Agenzia fiscale ha proposto ricorso presso la Suprema Corte. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Ebbene, il Collegio di legittimità, con la sentenza in esame, ha decretato, innanzitutto, l’inammissibilità della domanda di sospensione del giudizio depositata dal contribuente il 21/11/2018 in considerazione della definizione agevolata prevista dal D.L. n. 119 del 2018, all’epoca in fase di conversione in legge. Il contribuente aveva chiesto la sospensione al fine di poter valutare l’incidenza della norma sulla controversia. Gli Ermellini hanno, però, spiegato che l’articolo 6 del D.L. 23 ottobre 2018 n. 119, che prevede la definizione agevolata delle controversie tributarie in cui è parte l’Agenzia delle entrate, non modificato sul punto in sede di conversione intervenuta con la legge 17 dicembre 2018 n. 136, fa riferimento alle sole vertenze afferenti l'impugnativa di “atti impositivi”; mentre, nel caso di specie, il giudizio «nasce a seguito del rigetto da parte dell'Ufficio della istanza con cui il contribuente aveva chiesto che, in via di autotutela, l'Amministrazione revocasse l'avvio della procedura esecutiva da parte del Concessionario della riscossione per il recupero dell'intero debito iscritto, dovuto a seguito della decadenza dalla sanatoria ex art. 12 L. 289/2002». La Corte, dunque, è passata all’esame del ricorso erariale che, sfortunatamente per il contribuente, è stato accolto. L’azione dell’Agenzia delle Entrate è risultata corretta sia per quanto riguarda la pretesa in materia di IVA sia per quanto riguarda la pretesa in materia di IRPEF. Con riguardo alla prima imposta, gli Ermellini hanno rilevato che l'art. 12 della L. n. 289 del 2002 va disapplicato per contrasto con la VI Direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17.05.1977. Invece per quanto riguarda il debito per IRPEF, i massimi giudici hanno affermato che la sanatoria ex art. 12 cit. è condizionata all’integrale pagamento dell’importo dovuto sicché l’omesso o il ritardato versamento delle rate successive alla prima esclude la definizione della lite pendente e determina la decadenza dalla sanatoria (v., di recente, Cass. n. 21416 del 2016). E allora la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Il Collegio di legittimità, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ha deciso la controversia nel merito, rigettando il ricorso introduttivo del contribuente con addebito delle spese del giudizio di legittimità.