È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea la Direttiva (UE) n. 2022/2041 del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea. La direttiva è entrata in vigore il 14 novembre 2022 e gli Stati vi si dovranno adeguare entro il 15 novembre 2024. Entro il 15 novembre 2029, la Commissione, previa consultazione degli Stati membri e delle parti sociali a livello dell’Unione, farà una valutazione della Direttiva. Contenuti della Direttiva UE La Direttiva si propone di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione e si applica ai lavoratori della stessa che sono in possesso di un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro. Si propone, nello specifico, di arrivare a una riduzione delle diseguaglianze retributive e un adeguamento degli stipendi a dei salari minimi, cercando di raggiungere: a) l’adeguatezza dei salari minimi legali, al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose; b) la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari; c) il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo, ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi. La Direttiva non si pone in contrasto con la contrattazione collettiva, ma, in qualche modo, la integra, intendendo rispettare l’autonomia delle parti sociali, nonché il loro diritto a negoziare e concludere contratti collettivi. Anzi, va ad incentivare il coinvolgimento della stessa nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali. A questo riguardo, in modo esplicito, essa specifica che sono fatte salve le competenze degli Stati membri di fissare il livello sia dei salari minimi sia dei salari minimi legali, nonché di promuovere l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo prevista nei contratti collettivi o entrambi. Peraltro, la Direttiva specifica come nessuna sua disposizione possa essere interpretata al fine di imporre a qualsiasi Stato membro l’obbligo di introdurre un salario minimo legale, laddove la formazione dei salari sia garantita esclusivamente mediante contratti collettivi, o l’obbligo di dichiarare un contratto collettivo universalmente applicabile. Promozione della contrattazione collettiva In funzione della determinazione dei salari, viene chiesto agli Stati membri di essere proattivi e di stimolare la contrattazione collettiva: a) promuovendo la capacità delle parti sociali ad essere attori attivi nella determinazione dei salari per ogni settore economico; b) incoraggiando le negoziazioni costruttive, significative e informate sui salari tra le parti sociali; c) adottando, se del caso, misure volte a tutelare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva nella determinazione dei salari, proteggendo, soprattutto dalle interferenze, gli attori della contrattazione a tutti i livelli e in ogni modo. Specifiche misure di promozione e adeguamento vengono previste per i Paesi che hanno una copertura della contrattazione inferiore all’80% (non è il caso dell’Italia). Procedura per la determinazione di salari minimi legali La Direttiva, in primis, si preoccupa di affermare che, qualora in uno Stato sia previsto il salario minimo legale (che deve essere aggiornato costantemente, ossia almeno ogni quattro anni se presente l’indicizzazione, e monitorato biennalmente), tale Stato dovrà anche istituire le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali. Tale azione si deve basare su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di: - conseguire un tenore di vita dignitoso; - ridurre la povertà lavorativa; - promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto; - ridurre il divario retributivo di genere. I criteri devono essere definiti in modo chiaro e devono ricomprendere gli elementi di seguito descritti: il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita; il livello generale dei salari e la loro distribuzione; il tasso di crescita dei salari; i livelli e l’andamento nazionale a lungo termine della produttività. Ad integrazione di questi obblighi, la Direttiva specifica che gli Stati membri possono ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi legali, basato su criteri che devono conformarsi al diritto e alle prassi nazionali, a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale stesso. A questo scopo e per verificare l’adeguatezza dei salari minimi legali, si possono usare valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, quali il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio, e/o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale. Variazioni e trattenute In caso di presenza di salari minimi legali diversi per specifici gruppi di lavoratori o lo Stato applichi trattenute che riducono la retribuzione versata portandola a un livello inferiore a quello del salario minimo legale pertinente, esso deve provvedere affinché tali variazioni e trattenute rispettino i principi di non discriminazione e di proporzionalità. Anche su questo punto nessuna interpretazione deve essere tale da imporre agli Stati membri l’obbligo di introdurre variazioni dei salari minimi legali o trattenute sugli stessi. Accesso effettivo dei lavoratori ai salari minimi legali e appalti Ogni Stato membro, con la partecipazione delle parti sociali, adotta specifiche misure per migliorare l’accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo legale, e, ove opportuno, rafforzarne l’applicazione. In particolare, ogni Stato membro deve: a) prevedere controlli e ispezioni sul campo efficaci, proporzionati e non discriminatori, che siano effettuati dagli Ispettorati del lavoro o dagli organismi responsabili dell’applicazione dei salari minimi legali; b) sviluppare la capacità delle autorità responsabili dell’applicazione, soprattutto attraverso formazione e orientamenti, affinché individuino e perseguano in maniera proattiva i datori di lavoro non conformi. Una particolare attenzione è posta poi sugli appalti pubblici, ove la Direttiva prevede che ogni Stato debba adottare misure adeguate a garantire che gli operatori economici e i loro subappaltatori, nell’aggiudicazione ed esecuzione di appalti pubblici o di contratti di concessione, si conformino agli obblighi concernenti i salari, il diritto di organizzazione e la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, nel settore del diritto sociale e del lavoro. Monitoraggio e raccolta dei dati Vi è, nel documento, una forte attenzione al monitoraggio dei seguenti dati relativi al salario minimo, che dovrebbero essere comunicati agli organismi UE ogni due anni, entro il 30 settembre: a) il tasso e lo sviluppo della copertura della contrattazione collettiva; b) per i salari minimi legali: - il livello del salario minimo legale e la percentuale di lavoratori coperti da tale salario minimo legale; - una descrizione delle variazioni e delle trattenute esistenti e dei motivi della loro introduzione, nonché la percentuale di lavoratori interessati da tali variazioni, nella misura in cui i dati siano disponibili; c) per la tutela garantita dal salario minimo prevista esclusivamente dai contratti collettivi: - le retribuzioni più basse previste dai contratti collettivi che coprono i lavoratori a basso salario o una loro stima, qualora le autorità nazionali competenti non dispongano di dati accurati, nonché la percentuale di lavoratori da esse coperta o una loro stima, se le autorità nazionali competenti non dispongono di dati accurati; - il livello dei salari versati ai lavoratori non coperti dai contratti collettivi e il suo rapporto con il livello dei salari versati ai lavoratori coperti dai contratti collettivi. Sanzioni Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione dei diritti e degli obblighi rientranti nell’ambito di applicazione della presente Direttiva, nella misura in cui tali diritti e obblighi siano previsti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi. Negli Stati membri senza salari minimi legali, invece, tali norme possono contenere o limitarsi a un riferimento alla compensazione e/o alle penalità contrattuali previste, se del caso, dalle norme sull’applicazione dei contratti collettivi. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. Diffusione delle informazioni Un impegno importante è richiesto agli Stati membri al fine di informare i lavoratori e le parti interessate (come, ad esempio, i datori di lavoro, ivi comprese le PMI) sugli elementi fondanti della Direttiva e i suoi principi, unitamente alle disposizioni già in vigore. Non regresso e disposizioni più favorevoli La Direttiva si preoccupa di specificare che essa non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione già offerto ai lavoratori per quanto riguarda la riduzione o l’abolizione dei salari minimi. Resta impregiudicata, inoltre, la prerogativa di uno Stato membro di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, più favorevoli ai lavoratori o di promuovere e/o consentire l’applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori. Essa non deve essere interpretata in modo da impedire a uno Stato membro di aumentare i salari minimi legali. Conclusioni In primis bisogna subito dire che la Direttiva non comporta l’obbligo dell’adozione di un salario minimo legale, né l’obbligo a dichiarare un contratto collettivo applicabile erga omnes. È solo previsto il rafforzamento del diritto al salario minimo legale nei Paesi in cui è già previsto. Ricordiamo che, ad oggi, l’Italia non ha il salario minimo legale, insieme ad Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia. D’altro canto, il nostro Paese ha a sua disposizione sia un sistema di contrattazione collettiva molto diffuso e strutturato sia numerose garanzie per la maggioranza dei lavoratori dipendenti, sebbene la proliferazione dei contratti collettivi costituisca un problema che le stesse parti sociali si sono preoccupate di affrontare (anche se con risultati non definitivi), tanto che le differenze salariali tra contratti degli stessi settori merceologici rappresentano una evidente criticità.