Il dibattito parlamentare sull’opportunità di adottare o meno nel nostro Paese l’obbligo di corrispondere ai lavoratori un “salario minimo” riprenderà in autunno. La posizione del Governo L’11 agosto scorso la Presidente Giorgia Meloni ha proposto alle opposizioni di demandare al CNEL un ruolo di regia nel confronto sul tema del “lavoro povero”, quindi non solo sul salario minimo, stante che al CNEL sono depositati i contratti collettivi vigenti che, dal 17° Report dello stesso CNEL risultano essere, per il solo settore privato circa 976. Intervenendo al Meeting di Rimini, il 22 agosto scorso il Ministro del lavoro Marina Calderone ha spiegato che "il CNEL sarà un punto di valutazione, poi il Ministero e il Governo dovranno fare una valutazione sulle iniziative da intraprendere che avranno una ricaduta anche in legge di Bilancio” e che dovendo recepire la Direttiva europea in materia è opportuno tenere presente che "la stessa Commissione europea nei giorni scorsi ha rimarcato che l’obiettivo della Direttiva sul Salario minimo è quello di estendere la contrattazione collettiva, particolarmente in Paesi come l’Italia in cui oltre il 90% dei lavoratori è coperto da un contratto collettivo di riferimento. Ne consegue che il ruolo dei sindacati è di primaria importanza, per la loro funzione di tutela delle condizioni di lavoro. Per questo motivo, su un tema così delicato come quello del lavoro povero, il confronto deve esserci". La posizione dei presentatori del disegno di legge Nel frattempo, i presentatori del disegno di legge che ha unificato quelli preesistenti stanno raccogliendo le firme a favore della misura: "Abbiamo raggiunto le 300mila firme per il salario minimo" ha annunciato la segretaria del Partito democratico Elly Schlein alla festa dell'Unità di Castiglione del Lago (Perugia). Il ruolo del CNEL e i rilievi sul salario minimo E’ fuori di dubbio che il CNEL abbia tutti i dati statistici per valutare le dinamiche salariali disciplinate dalla pletora di contratti collettivi in vigore, operazione già di per sé complessa considerato che secondo il citato 17° Report “I contratti collettivi nazionali di lavoro depositati nell’Archivio nazionale del CNEL, aggiornato al 30 giugno 2023, sono 1.037 (CCNL lavoratori privati, CCNL lavoratori pubblici, CCNL lavoratori parasubordinati e Accordi Economici Collettivi per alcune categorie di lavoratori autonomi). Dei 976 CCNL relativi al settore privato, 553 risultano scaduti (57%). I lavoratori privati con un contratto scaduto al 30 giugno 2023 sono 7.732.902, il 56% su un totale di 13.839.335”. Inoltre, il CNEL ha già espresso il suo pensiero nel corso dell’audizione del 13 luglio 2023 innanzi la Commissione XI (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti disposizioni su giusta retribuzione e salario minimo. Secondo il CNEL il problema non può essere ridotto al solo salario minimo legale bensì devono essere affrontati i principali (e reali) problemi che ostacolano la crescita dei salari dei lavoratori in Italia, “dai rinnovi contrattuali alla diffusione del dumping contrattuale, dalla crescita esponenziale del costo della vita all'elevato cuneo fiscale, fino all'impatto della precarietà e del lavoro povero". Secondo il CNEL un mero intervento legislativo sui trattamenti minimi "rischierebbe di mettere in secondo piano anche tutti gli altri istituti che i contratti regolano, dimenticando il ruolo centrale che hanno i sistemi di relazioni industriali nel riscrivere i sistemi di classificazione e di inquadramento del personale che governano i criteri di misurazione del valore economico e di scambio del lavoro condizionando l'organizzazione del lavoro, i percorsi di carriera e le dinamiche della produttività". La mancata attuazione delle norme costituzionali e le conseguenze Ma allora, non è che il problema sia ancora - come da sempre - non tanto l’articolo 36 della Costituzione che è già faticosamente applicato in giudizio bensì l’articolo 39 la cui mancata attuazione impedisce di estendere, semplicemente, erga omnes, i contratti collettivi anche se in possesso dei requisiti di cui all’articolo 51 del Dlgs.81/2015, ossia quei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria. L’articolo 39 della Costituzione afferma con forza la libertà dell’organizzazione sindacale alla quale non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. I sindacati registrati possono stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Senza questa precondizione scatta con facilità l’incostituzionalità dell’applicazione erga omnes imposta per legge. Non è facile in questo contesto trovare una via d’uscita che si traduca nella mera introduzione legislativa del salario minimo eppure ... da qualche parte bisognerà pur cominciare considerando anche che il salario minimo, è presente in quasi tutti i Paesi europei, ad eccezione dell’Italia, della Danimarca, dell’Austria, della Finlandia e della Svezia.