La Cassazione si è espressa più volte in merito ai casi in cui risultino differenti i prezzi degli immobili indicati nei contratti preliminari rispetto a quelli risultanti dai rogiti definitivi, ma non è chiaro se tale scostamento possa da solo giustificare l’accertamento analitico-induttivo. Nell’ordinanza 26286/2017 è stata sancita la irrilevanza di tale scostamento perché i prezzi dei contratti preliminari sono fissati in base a un progetto o quando il manufatto «è ancora allo stato grezzo», sulla base di «opzioni che poi potrebbero essere lasciate cadere di comune accordo». Nella ordinanza 30190/2017 è stata cassata la sentenza di merito nella quale era stato ritenuto «che gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, consistenti nel rinvenimento presso gli istituti bancari di due contratti preliminari afferenti gli immobili venduti ..., nelle perizie effettuate dalle banche stesse sugli immobili e nella scarsità del reddito denunciato dalla contribuente, costituissero presunzioni gravi, precise e concordanti del fatto che il prezzo indicato nei due atti di acquisto era inferiore a quello effettivamente pagato». La Cassazione ha in tale occasione rilevato che non erano state esplicitate le ragioni per le quali era stato ritenuto di non prendere in considerazione «altri contratti preliminari asseritamente sottoscritti da entrambe le parti e nei quali il prezzo indicato corrispondeva a quello indicato nell’atto». La stessa Corte aveva, invece, ritenuto legittimo, nella sentenza 15052/2014, l’accertamento basato sul raffronto dei prezzi indicati nei contratti preliminari e di quelli risultanti dai rogiti definitivi ma nel caso esaminato l’ufficio aveva contestato anche lo scostamento rispetto all’importo dei mutui stipulati dagli acquirenti degli immobili e alle dichiarazioni degli acquirenti attestanti il pagamento di «ulteriori somme non contabilizzate». Anche nella sentenza 457/2014 è stata affermata la legittimità dell’accertamento fondato sulla circostanza che il prezzo risultava inferiore alla somma della caparra e degli acconti ma anche all’importo del mutuo richiesto dall’acquirente. La rettifica era stata inoltre fondata sulla modesta entità e, quindi, sull’antieconomicità del ricarico che era stato applicato sui costi e sulla verifica dei prezzi di altre unità immobiliari commercializzate nella stessa zona. Nella ordinanza 20295/2018, è stata attribuita rilevanza anche alla «mancata esibizione (a seguito della richiesta dell’agenzia delle Entrate) dei preliminari degli atti di acquisto da parte della società contribuente» e nella sentenza 7240/2019 è stato genericamente sancito che la discordanza in esame è pienamente utilizzabile ai fini di prova. Non è stata, pertanto, mai chiaramente affermata la “autosufficienza” della difformità tra il prezzo indicato nel contratto definitivo e quello risultante dal preliminare. Si ritiene quindi necessaria la presenza anche di altri elementi, al fine di rendere la presunzione grave e precisa.