Con l’importante sentenza n. 11075 del 27 aprile 2023, la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile il regime di esenzione IVA per le azioni cedute da una società alle proprie controllate affinché siano attribuite ai dipendenti. IL FATTO Dal contenuto degli accordi intercorsi tra la società controllante e le partecipate, vagliato dal giudice di secondo grado, si evince come le prestazioni rese dalla società controllante siano riconducibili a un rapporto di mandato per la cessione di azioni (in regime di esenzione IVA) piuttosto che a una prestazione generica di servizi (in regime di imponibilità). La controprestazione, peraltro, consisteva nel pagamento di un corrispettivo, da parte delle società controllate, pari al valore delle azioni emesse, per il trasferimento della titolarità in favore dei dipendenti. La natura esente del servizio reso dalla società controllante, in virtù della decisione della Cassazione, comporta dunque l’indetraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti correlati alle anzidette prestazioni rese. La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte nella sentenza n. 11075 trae origine proprio dalla contestazione in merito all’IVA detratta da una società a capo di un noto gruppo nazionale del settore ottico. In forza di uno specifico accordo interaziendale (service agreement), la capogruppo si era impegnata a emettere azioni che le controllate avrebbero assegnato ai propri dipendenti. Come controprestazione, queste ultime versavano alla società controllante un importo corrispondente al valore delle azioni assegnate. L’operazione era stata qualificata dalle due parti coinvolte come una generica prestazione di servizi, ai sensi dell’art. 3 del DPR 633/72, con applicazione dell’IVA. Di diverso avviso era l’Agenzia delle Entrate, che aveva accertato la società capogruppo, ritenendo la prestazione esente da imposta e che, quindi, aveva recuperato a tassazione l’IVA “a monte” detratta e riferita alle operazioni riqualificate come imponibili. Nel corso del giudizio di merito, si era ritenuto che l’operazione fosse correttamente da qualificare come esente da IVA, in quanto riconducibile a “operazioni relative ad azioni” ex art. 10 comma 1 n. 4 del DPR 633/72 e la suddetta impostazione – come anticipato – veniva confermata in sede di Cassazione. In particolare, sulla base della ricostruzione del giudice di secondo grado, si osservava come la prestazione consistesse nel pagamento di un corrispettivo pari al valore delle quote di volta in volta emesse al fine del trasferimento della titolarità delle medesime. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione ritiene corretta la qualificazione giuridica operata dal giudice di merito e riconduce la fattispecie nell’ambito dell’art. 10 comma 1 nn. 4 e 9 del DPR 633/72, ravvisando (da parte della società capogruppo) un incarico di mandato a cedere azioni in favore dei dipendenti delle società controllate. Difatti, il n. 4 dell’art. 10 in argomento qualifica come esenti da IVA le operazioni relative ad azioni, mentre il successivo n. 9 esenta le “prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1) a 7)“. La previsione normativa, secondo la Corte, ha un contenuto “sufficientemente ampio da ricomprendere diverse prestazioni”, tra cui quelle del caso di specie in cui una società “ha emesso azioni e ne ha trasferito la titolarità in favore dei terzi sulla base di un rapporto di mandato” (l’operazione è “relativa ad azioni” per il fatto che si ha un mutamento nella titolarità della quota attraverso il passaggio dall’emittente al terzo beneficiario). Di qui, il diniego del diritto alla detrazione dell’IVA “a monte” in capo alla società controllante, ai sensi dell’art. 19 comma 2 del DPR 633/72, per il principio di diretta afferenza degli acquisti riferiti all’effettuazione di prestazioni esenti. Di particolare rilievo, nella pronuncia della Cassazione, sono gli aspetti relativi all’interpretazione del contratto per cui, secondo la società ricorrente, anche il giudice tributario avrebbe dovuto conformarsi ai criteri di interpretazione letterale di cui all’art. 1362 c.c. La Suprema Corte non ha ravvisato violazione in merito all’interpretazione del contratto, ritenendo che “l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito”. Nel caso di specie, anche il tenore letterale dell’accordo comunque confermava la valutazione del giudice di merito, poiché l’operazione economica derivante dagli accordi tra le parti “consisteva nella diretta assegnazione delle azioni emesse (...) in favore dei dipendenti” e detta assegnazione è avvenuta dietro corrispettivo del controvalore delle azioni da parte delle società controllate.