Il giudice non può addossare alla società dissequestrata le spese sostenute per il coadiutore dell’amministratore giudiziario, sulla base di un’assunzione dell’“ausiliario” senza verificare tempi e modalità del contratto. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 42718 del 17 ottobre 2019, analizza le norme in tema di aziende sequestrate, con le novità introdotte dalla legge n. 161 del 2017, che ha riformato il Codice antimafia (Dlgs 159/2011). IL FATTO L’occasione arriva dal ricorso di una cooperativa contro la decisione del giudice dell’esecuzione di respingere la richiesta del legale rappresentante di addebitare allo Stato i 33 mila euro spesi per il coadiutore. Un no giustificato dal fatto che il coadiutore era stato assunto con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Le spese per i suoi onorari dovevano dunque essere considerate necessarie o utili per la conservazione del bene. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione accoglie il ricorso della società e rinvia al Gip per un nuovo giudizio. La Suprema corte ricorda che lo spossessamento del bene messo in atto con la gestione giudiziaria, non si può tradurre in un peso sul diritto di proprietà che non sia giustificato dall’andamento di gestione. Il criterio da seguire è lo stesso dettato per la soccombenza. In caso di restituzione i costi sostenuti per compensare l’amministratore e i suoi coadiutori vanno scorporati e, dopo l’approvazione del rendiconto di gestione, vanno imputati allo Stato. Nel caso esaminato si tratta di capire – spiegano i giudici – da chi era stato retribuito il coadiutore la cui posizione non è in linea con la giurisprudenza né con le previsioni di legge. La Corte ricorda che il coadiutore può essere “arruolato”, in caso di gestioni complesse, dall’amministratore giudiziario, se dotato di particolari competenze tecniche. La normativa vigente, modificata dalla legge 161/2017 prevede che la scelta venga comunicata, per il via libera, al giudice che procede. Passaggi all’insegna della trasparenza e a prova di incompatibilità. Requisito che vale anche per i coadiutori, che agiscono, d’intesa con l’amministratore giudiziario, per scopi legati ad un pubblico ufficio. È chiaro che con l’assunzione da parte della società sequestrata il coadiutore perde la sua qualifica «non essendo prevista dalla legge una simile modalità operativa». Non è superfluo in questo contesto fare una verifica che il giudice dell’esecuzione non ha fatto: capire quando il coadiutore è stato contrattualizzato dalla società e se l’assunzione sia avvenuta con il via libera dell’autorità procedente. Oggetto di indagine deve essere anche il tipo di attività svolta dal “tecnico” dopo la firma del contratto. Un esame del rapporto e delle sue modalità che serve anche ad escludere che il contratto abbia avuto una natura simulatoria. Nel caso in cui, infatti, la condizione sia rimasta di fatto quella di “ausiliario” dell’amministratore giudiziario, non si potranno addossare ad una società, rientrata in bonis, gli oneri derivanti da una illegale forma di contrattualizzazione del coadiutore.