La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23585 del 23 settembre 2019, ha ribadito che sussiste il litisconsorzio necessario tra società di persone e soci in caso di pretese erariali nei confronti della prima che abbiano effetti anche sui secondi. Inoltre è stata evidenziata la necessità della partecipazione di tutti i soggetti interessati dalla vicenda, anche se un socio, come nella specie, non sia stato destinatario di alcun atto impositivo e non abbia aderito al ricorso proposto dalla Sas. IL FATTO L’Ufficio iniziava una verifica fiscale nei confronti di una Sas che si concludeva con la notifica di un avviso di accertamento ai fini Iva ed Irap, basato sulla contestazione di maggiori ricavi non dichiarati. Parallelamente veniva notificato altro atto impositivo al socio accomandatario, tassato per trasparenza, ai fini Irpef per i maggiori redditi di partecipazione ex art. 5 Dpr 917/1986. Nessun atto in proprio era invece notificato al socio accomandante, che deteneva solo l’1% della società. I due avvisi di accertamento erano oggetto di altrettanti ricorsi che venivano riuniti dalla CTP, la quale li accoglieva parzialmente. Sia l’impresa che il socio impugnavano la sentenza di primo grado con separati atti di appello, i quali non venivano riuniti dalla CTR, anche se la stessa li trattava congiuntamente nella medesima udienza, rigettandoli entrambi. I contribuenti ricorrevano quindi per Cassazione ribadendo quanto esposto innanzi ai giudici di merito. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha riunito i due ricorsi presentati dal socio e dalla società, dichiarando la nullità dell’intero giudizio con cassazione della sentenza impugnata e rimessione agli atti alla CTP. Preliminarmente viene ribadito che nella specie si trattava di un caso di litisconsorzio necessario tra soci e società di persone. Ciò posto, la costante giurisprudenza di legittimità ha precisato che, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base delle rettifiche alle società di persone e la conseguente automatica imputazione dei maggiori redditi ai propri soci, comporta che il ricorso proposto anche da uno solo dei soggetti interessati riguarda inscindibilmente tutti. Uniche eccezioni si hanno quando un socio opponga questioni strettamente personali ovvero l’avviso di accertamento abbia ad oggetto esclusivamente l’Iva: in ogni altra ipotesi tutti i contribuenti devono essere parte del medesimo procedimento e la controversia non può essere decisa soltanto in riferimento ad alcuni di essi. Infatti il giudizio non ha ad oggetto una singola posizione debitoria (riferibile al solo ricorrente), ma i fatti costitutivi della pretesa erariale che spiega i suoi effetti nei confronti di tutti. Pertanto se un solo contribuente propone ricorso è necessaria l’integrazione del contraddittorio, perché il giudizio celebrato senza la partecipazioni di tutti i litisconsorti è affetto da nullità assoluta, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Nella specie, seppure in primo grado i giudizi erano stati riuniti ed in appello trattate congiuntamente le singole impugnazioni di società e socio, non era mai stato integrato il contraddittorio nei confronti dell’accomandante: tale adempimento era necessario anche se al contribuente, che deteneva solo l’1% delle partecipazioni sociali, non era stato destinatario di alcun avviso di accertamento in proprio e non aveva partecipato all’impugnazione dell’atto intestato alla società. Da qui la nullità dell’intero giudizio, che doveva quindi essere ripetuto con la partecipazione anche dell’altro litisconsorte necessario.