Con la sentenza n. 19945 depositata il 12 luglio 2023, la Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema dei requisiti che devono ricorrere affinché possa configurarsi una sopravvenienza attiva imponibile ai sensi dell’art. 88 comma 1 del TUIR. Tale disposizione riconduce nel novero delle sopravvenienze attive c.d. “proprie”: - i ricavi o gli altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi; - i ricavi o gli altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi; - la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi. In altre parole, le sopravvenienze attive “proprie” rappresentano componenti straordinarie correlate a costi, oneri e spese, contabilizzati in un determinato esercizio che risultano successivamente, in tutto o in parte, non sostenuti. Ad esempio, il rimborso di imposte dà origine a una sopravvenienza attiva: - sotto il profilo contabile, in ogni caso, posto che costituisce una sopravvenuta insussistenza totale o parziale di un onere imputato al Conto economico di un precedente esercizio; - sotto il profilo fiscale, solo se le imposte cui si riferisce hanno già assunto carattere di onere deducibile nella determinazione del reddito imponibile di precedenti periodi d’imposta (R.M. 28 giugno 1979 n. 9/813). In termini più generali, come diffusamente affermato in dottrina, affinché possa configurarsi una sopravvenienza imponibile, il costo che viene eliminato deve essere stato dedotto fiscalmente in un precedente esercizio, mentre l’eliminazione di costi che non hanno trovato riconoscimento fiscale non comporta alcuna sopravvenienza attiva tassabile (C.M. 27 maggio 1994 n. 73, § 3.40). In linea con quanto sopra, la sentenza n. 19945/2023 ha affermato che la nozione di sopravvenienza attiva implica che una spesa, una perdita o una passività, già iscritta in bilancio, fosse reale ed esistente, e che successivamente, per qualsiasi ragione, prevedibile o imprevedibile, la sua effettività sia venuta meno o che abbia subito una variazione quantitativa favorevole al contribuente, come nel caso di: - impossibilità sopravvenuta di una condizione o della prestazione; - risoluzione del contratto. Ad avviso dei giudici di legittimità, diverso è invece il caso di una posta passiva iscritta in un determinato bilancio, ma inesistente perché documentata da atti o fatture false materialmente o ideologicamente o giuridicamente non dotate dei requisiti formali per essere portate in deduzione. In questo caso, infatti, la circostanza che i bilanci degli esercizi successivi siano indirettamente influenzati dalla falsità o insussistenza della perdita o passività già iscritta nulla toglie al fatto oggettivo che gli effetti tributari della passività indebitamente iscritta si siano già realizzati in relazione all’esercizio in cui la perdita è stata rilevata (nel caso di specie contribuendo alla diminuzione del risultato d’esercizio imponibile). Negli esercizi successivi, poi, nemmeno l’annotazione del pagamento del debito originariamente inesistente può configurare la volontà di eliminare la passività originaria. Tale modo di operare, anzi, ne conferma l’esistenza e porta quell’iscrizione a conseguenze ulteriori, realizzando (eventualmente) un’ulteriore condotta evasiva o elusiva, non già facendo emergere un’attività prima inesistente, ma deprimendo ancora una volta la consistenza patrimoniale o il risultato dell’esercizio nel quale i pagamenti vengono indebitamente annotati. Nello stesso senso si sono espresse, in giurisprudenza, tra le altre, le pronunce della Cassazione nn. 33974/2022 e 26314/2020 e, nella prassi, la risposta a interpello n. 71/2019. Non mancano, peraltro, precedenti di segno contrario: ad esempio, la Cassazione n. 12436/2011 ha affermato che sussiste l’obbligo del contribuente che, in relazione ad un determinato periodo d’imposta, ha dichiarato una passività inesistente “a pagare, per la corrispondente posta, nel successivo periodo di imposta, su un reddito imponibile maggiorato della medesima somma come sopravvenienza attiva onde consentire all’Ufficio il recupero a tassazione”.