Il giudice tributario non è obbligato a sospendere il giudizio ove sussista la pendenza di un giudizio concernente una questione pregiudiziale dinanzi al giudice amministrativo. Se infatti la sentenza di appello è stata pubblicata in un momento successivo all’entrata in vigore delle modifiche alla disciplina sul contenzioso tributario, non ricorre pertanto l’ipotesi della sospensione necessaria ed il giudice tributario, in vigenza delle precedenti regole, non è tenuto a procedere alla sospensione del processo. È questo il principio espresso dalla sesta sezione della Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 10035 del 10 aprile 2019. IL FATTO Un contribuente aveva impugnato l’avviso di riclassamento di un immobile recante modifica delle classi e conseguente aumento della rendita catastale emesso dall’ex Agenzia del Territorio. In primo grado la Commissione annullava il predetto avviso per difetto di motivazione e la decisione era confermata dalla CTR. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione eccependo, in particolare, che la Commissione di appello aveva erroneamente omesso di disporre la sospensione della controversia, attesa la pendenza di altro giudizio dinanzi al Consiglio di Stato riguardante la legittimità degli atti a monte dell’avviso di classamento de quo. In aggiunta ha sostenuto la validità della motivazione dell’accertamento circa la revisione operata e le motivazioni poste a fondamento del riclassamento eseguito dall’ufficio. La normativa L’art. 39, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 stabilisce che il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio. Dalla lettura di detta disposizione emerge che la sospensione si applica in casi tassativi allorché ricorrono alcune specifiche ipotesi. Innanzitutto, sia proposta querela di falso o si presenti una questione pregiudiziale nonché una situazione riguardante la ricusazione (art. 6 D.Lgs. n. 546/1992), il regolamento preventivo di giurisdizione (art. 3 D.Lgs. n. 546/1992) o in materia di sospensione per pregiudizialità costituzionale. Il legislatore, modificando l’art. 39, D.Lgs. n. 546/92 (con decorrenza dal 01/01/2016), ha aggiunto il comma 1-bis del D.Lgs. n. 156/2015 secondo cui la Commissione tributaria può disporre la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra Commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato atteso che la sentenza della CTR impugnata è stata pubblicata in un momento successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 156/2015, e che quindi non ricorreva più un’ipotesi della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., essendo eventualmente applicabile l’art. 337, co. 2, c.p.c. che in caso di impugnazione di una sentenza, la cui autorità sia stata invocata in un separato giudizio, prevede solo la possibilità della sospensione facoltativa, per cui il giudice non è obbligato a procedere alla sospensione. Al caso di specie, quindi, non è evidentemente applicabile l’art. 39, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 546/2015, essendo, la pregiudizialità invocata rispetto al Consiglio di Stato. I giudici hanno affermato, inoltre, che non può ritenersi congruamente motivato il provvedimento di riclassamento che faccia esclusivo riferimento al rapporto tra il valore di mercato ed il valore catastale nella microzona considerata rispetto al rapporto esistente nell’insieme delle microzone comunali ed ai provvedimenti del riclassamento da cui non si ricavano gli elementi alla base del medesimo (ad esempio, qualità urbana e ambientale; caratteristiche edilizie del fabbricato). Sulla base di tali elementi, quindi, il contribuente non è in grado di conoscere le concrete ragioni poste a base dell’atto impositivo e opporre una valida impugnativa giudiziale. Sul tema la Cassazione era pervenuta di recente, ad analoga conclusione, ritenendo che la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra le due cause di cui si tratta sia non solo concreto ma anche attuale, ovvero che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora pendente, non avendo altrimenti il provvedimento ragion d’essere e traducendosi in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione (Cass. 9049/2019). Per tali ragioni i giudici della Corte hanno respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.