Il sequestro preventivo viene disposta al fine di confiscare i beni, destinati a soddisfare le imposte evase. Nel caso del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 del DLgs 74/2000, il profitto viene identificato con il patrimonio sottratto alla garanzia dell’esazione delle imposte, non con il debito tributario evaso. Pertanto, come ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32018 depositata il 18 luglio 2019, il sequestro non potrà gravare sull’intero debito tributario ma sulle somme sottratte a garanzia. IL FATTO Alcuni contribuenti venivano indagati per aver commesso dei reati di bancarotta e fiscali di sottrazione al pagamento delle imposte, attraverso una serie di società e di operazioni connesse. Gli indagati, secondo gli inquirenti, avrebbero compiuto atti fraudolenti ed alienazioni simulate aventi ad oggetto l’azienda ed i proventi di detta attività, finalizzati ad ottenere il cosiddetto risparmio di spesa, impiegato poi per compiere investimenti immobiliari. Nelle more delle indagini il Gip disponeva, con decreto motivato, due sequestri preventivi di urgenza gravanti su tutti i beni dei contribuenti fino a concorrenza dell’ammontare delle imposte evase. Il provvedimento era immediatamente impugnato innanzi al Tribunale del Riesame, per ottenere la rimozione della misura, il quale confermava solo parzialmente il decreto di convalida del Gip. Nell’ordinanza, infatti, si dava atto che la misura riguardava sia i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, sia ogni altra utilità che l’autore del reato realizzava come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa. Avverso detta pronuncia la difesa dei contribuenti proponeva ricorso in Cassazione, per la rimozione della misura gravante non sul profitto, ma sull’intero debito tributario evaso. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei contribuenti, annullando il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale competente. I giudici di legittimità, preliminarmente, individuano il concetto di profitto di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, nel patrimonio sottratto alla garanzia dell’esazione e non con il debito tributario evaso; infatti, ai fini di calcolo dello stesso, si procede mediante la decurtazione da detto patrimonio delle somme recuperate dal Fisco a seguito delle operazioni compiute e, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione nella fase di recupero. Entrando nello specifico, nel caso di reato di sottrazione fraudolenta delle imposte (art. 11 del DLgs 74/2000) il profitto deve essere individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il Fisco ha diritto di soddisfarsi, dunque nella somma di denaro la cui sottrazione viene perseguita, eventualmente reimpiegata per l’acquisto di altri beni ad esempio immobili. Nel caso di specie, il bene sottratto è solamente un’azienda ed i beni mobili ad essa connessi, ceduta poi di volta in volta alle varie società coinvolte nella commissione dei reati. Gli ulteriori immobili acquistati dai contribuenti, sui quali è stato disposto illegittimamente il sequestro preventivo, appartengono al patrimonio personale dei ricorrenti, costituendo il profitto mediato del reato, in quanto non originariamente appartenenti all’azienda. Da qui l’accoglimento del ricorso.