Nelle ipotesi di sovraindebitamento o di imprese coinvolte da procedure fallimentari il provvedimento di diffida accertativa per il recupero dei crediti patrimoniali dei lavoratori non può essere adottato. Con la nota n. 2414/2023 l’Ispettorato nazionale del Lavoro (INL) ha confermato i precedenti orientamenti, propri e ministeriali, con i quali veniva esclusa la possibilità di adottare il provvedimento di diffida accertativa per difetto del requisito dell’esigibilità del credito, tutte le volte in cui, precedentemente all’adozione o nelle more, il datore di lavoro fosse stato coinvolto in una procedura di sovraindebitamento o di fallimento. Il tema degli obblighi retributivi e patrimoniali in generale nei confronti del personale dipendente è tra quelli più delicati nell’ambito della tutela dei lavoratori, specie in determinati momenti storici in cui la carenza di liquidità pone le imprese, e non solo, nella difficoltà di onorare gli impegni economici con puntualità. In questo senso, nel 2020, anche in ragione della crisi pandemica, il legislatore, per garantire una maggior tutela dei lavoratori, ha potenziato uno dei più incisivi strumenti di natura sostanziale a disposizione del personale ispettivo dell’INL, ossia la diffida accertativa. Tale provvedimento, disciplinato dall’art. 12 del DLgs. 124/2004, viene adottato dagli ispettori del lavoro ogniqualvolta si accerti l’esistenza, a favore del lavoratore, di un credito patrimoniale. Come spiegato dal Ministero con la circolare n. 1/2013, tale credito può riguardare la retribuzione ma anche crediti legati al demansionamento ovvero alla mancata applicazione di livelli minimi retributivi, come nel caso del settore cooperativistico, ai sensi dell’art. 7 comma 4 del DL 248/2007 (conv. L. 28 febbraio 2008 n. 31), nonché derivanti dall’accertamento di lavoro sommerso. Allo stesso modo, si possono ritenere diffidabili i crediti di tipo indennitario e da maggiorazioni, per il trattamento di fine rapporto (TFR). L’Ispettorato, con la circolare n. 7/2020, ha altresì ammesso la possibilità di ricorrere allo strumento della diffida accertativa anche per il recupero dei crediti retributivi derivanti da un non corretto inquadramento contrattuale. Diversamente, non possono essere oggetto di diffida accertativa, bensì di pagamento diretto da parte dell’INPS, le indennità previste per maternità e malattia. In tali casi, la diffida accertativa potrà riguardare esclusivamente le eventuali integrazioni a carico del datore di lavoro, previste dal CCNL dallo stesso applicato. In tutti questi casi, alla base della diffida accertativa vi è un vero e proprio accertamento tecnico da parte degli ispettori che, ove risultino soddisfatte le condizioni di legittimità del provvedimento, invitano il datore di lavoro e l’eventuale obbligato in solido a corrispondere quanto dovuto al lavoratore entro 30 giorni, trascorsi invano i quali la diffida diviene titolo esecutivo, direttamente azionabile avanti al Giudice dell’esecuzione. Come ricordato dallo stesso INL, ciò si verifica anche tutte le volte in cui non sia stato raggiunto un accordo in sede di conciliazione, domandata a seguito della notifica della diffida stessa, ovvero sia stato rigettato l’eventuale ricorso avverso la diffida. Ciò posto, occorre comprendere in presenza di quali presupposti, concernenti il credito, la diffida accertativa può essere adottata. Come più volte spiegato dal Ministero e, successivamente, dallo stesso Ispettorato, il credito oggetto della diffida deve essere certo, liquido ed esigibile. La certezza del credito è data dalla presenza di elementi che ne possano validamente provare l’esistenza. Inoltre, il credito può ritenersi liquido nel momento in cui il personale ispettivo ne ha determinato l’esatto ammontare che, di norma, secondo quanto precisato dall’INL con la nota n. 2002/2021, deve essere esposto nel provvedimento al lordo degli oneri contributivi e fiscali. Decisamente più complesso è il requisito dell’esigibilità. In detta ipotesi, il credito non deve essere sottoposto a termini o condizioni che ne impediscano la riscossione. In tal senso, si pensi al credito riferito al trattamento di fine rapporto che, in ragione di quanto previsto dall’art. 2120 c.c., non può essere ritenuto esigibile prima della cessazione del rapporto di lavoro subordinato al quale si riferisce. È proprio su tale ultimo, essenziale, requisito che si è concentrata l’attenzione dell’Ispettorato, che ha confermato gli orientamenti già espressi in precedenza tanto dal Ministero (circ. n. 1/2013), quanto dalla stessa Agenzia ispettiva (circ. n. 6/2020). In particolare, l’INL ha spiegato che, in presenza di sovraindebitamento o di una procedura fallimentare, è precluso al lavoratore intraprendere un’azione esecutiva (art. 150 del DLgs. 14/2019). Ciò incide evidentemente sull’esigibilità del credito il quale, pertanto, non potrà essere oggetto di diffida accertativa ove tali procedure siano aperte prima della sua adozione.